ROMA — Sulla proposta di un Pd a forte vocazione territoriale lanciata da Romano Prodi — più spazio ai 20 segretari regionali e meno potere al leader nazionale eletto da un’assemblea federale— Antonio Di Pietro già si affretta a seminare zizzania in casa democratica: «È evidente che l’ex premier da un po’ di tempo non gira per le piazze perché il male del Pd non è tanto in questo o in quel dirigente nazionale, ma soprattutto nei tanti ras e notabili locali...».
Così a largo del Nazareno — in vista della segreteria di oggi, allargata ai segretari regionali, e della direzione convocata per sabato — Pier Luigi Bersani si attrezza ad affrontare anche questa nuova tegola. Con una leadership del partito, però, che inizia a sentire un vero clima d’assedio: innanzitutto per la prova elettorale deludente su tutti i fronti e ora anche per la sortita dell’ex leader dell’Unione. Che rischia di trasformarsi per il Pd nel classico cavallo di Troia. I voti ottenuti dal Pd nelle 13 Regioni dove si è votato Sintonia Pierluigi Bersani e Romano Prodi al convegno Manifutura 2010, il 12 febbraio scorso a Pisa Prima ancora di analizzare la sconfitta elettorale, i vertici del Pd sono dunque obbligati a discutere la stessa struttura centralizzata del partito. E infatti i primi a rispondere al professore sono gli esponenti della minoranza, con Beppe Fioroni che stronca il modellino federale disegnato da Prodi perché, sostiene, sembra troppo una «Lega di sinistra».
Poi l’ex ministro della Margherita ci va giù duro anche sul piano personale: Prodi forse «è spinto dal rimpianto e dal rancore che insieme hanno effetti devastanti». Tocca invece aMassimo Cacciari tessere l’elogio della proposta prodiana: «Serve un Pd organizzato su base regionale con i congressi locali che potranno poi indicare la leadership». Un bel «passo indietro», accusa il veltroniano Giorgio Tonini, che difende con le unghie e con i denti le primarie nazionali. Tuttavia l’ex sindaco di Venezia rassicura chi teme un ritorno in campo del professore di Bologna: «Prodi ha fatto il suo tempo, come me. Possiamo dare ottimi consigli come fanno i papà o i nonni. C’è una generazione politica che deve cambiare, ma non può essere sostituita a tavolino». A sentirli, i segretari regionali in carica del Pd non sono ostili in via pregiudiziale alla valorizzazione della vocazione territoriale del Pd ma, spiegano, non se ne parla di abolire le primarie nazionali. «Bersani sta già lavorando in questa direzione ma senza rivoluzioni», azzarda da Genova Lorenzo Basso. Giudizio soft anche di Enzo Amendola (Campania), che però pianta un paletto: «Mi lascia perplesso il fatto che siano 20 persone a scegliere la guida del partito».
Anche in Puglia, Sergio Blasi mette le mani avanti: «In questa fase sarebbe più opportuno parlare meno di noi e più dei problemi reali del Paese». E potrebbe essere questa la parola d’ordine che Bersani utilizzerà per attraversare un guado molto insidioso. Spiega infatti il capogruppo Anna Finocchiaro: «Non c’è dubbio che dobbiamo lavorare molto sull’organizzazione perché l’identità e la riconoscibilità del Pd le fanno i dirigenti nazionali, ma anche quelli regionali. Eppure, questo non basta: dobbiamo anche proporre una nostra agenda, molto chiara e puntuale». Perché, è l’avvertimento della Finocchiaro, «non possiamo muoverci avendo fra di noi idee diverse. Altrimenti rischiamo di affogare nella mistificazione messa in opera dal governo».
Fonte: Corriere.it
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