"Se solo avessi avuto sentore di una trattativa di un pezzo dello Stato con un pezzo della mafia avrei fatto l'inferno e l'avrei denunciato pubblicamente". Lo ha detto l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli deponendo a Palermo al processo a carico del generale Mario Mori, ex vice comandate del Ros, e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano.
Chiamato a deporre dai pm del processo Antonio Ingroia e Antonio Di Matteo, Martelli ha raccontato in aula, davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale quanto dichiarato ai magistrati nell'interrogatorio dell'ottobre 2009, in seguito all'intervista rilasciata ad 'Annozero'. In quell'occasione Martelli disse, per la prima volta pubblicamente, a 17 anni dalla strage di via D'Amelio, che il giudice Paolo Borsellino sarebbe stato informato da Liliana Ferraro, collaboratrice di Martelli al ministero della Giustizia, dei colloqui tra i carabinieri del Ros e l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.
"Avemmo la sensazione che tra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino ci fossero rapporti stretti", ha detto Martelli. L'ex Guardasigilli ha raccontato in aula che, alla fine di giugno del '92, l'allora direttore degli Affari penali del Ministero, Liliana Ferraro, gli disse che aveva incontrato il capitano Giuseppe De Donno, allora braccio destro di Mori, e che l'ufficiale le aveva riferito di avere preso contatti con il figlio di Ciancimino, Massimo, con lo scopo di incontrare il padre "per fermare le stragi". "Ferraro - ha aggiunto Martelli - mi raccontò di avere invitato De Donno a rivolgersi a Borsellino". "Praticamente - ha continuato - Ferraro mi fece capire che il Ros voleva il supporto politico del ministero a questa iniziativa. Io mi adirai perché trovavo una sorta di volontà di insubordinazione della condotta dei carabinieri. Avevamo appena creato la Dia, che doveva coordinare il lavoro di tutte le forze di polizia e quindi non capivo perché il Ros agisse per conto proprio".
Infuriato Martelli avvertì nella circostanza l'ex capo della Dia, il generale Taormina, e l'allora ministro dell'Interno. Il testimone, che ha dichiarato di non sapere se dopo l'invito della Ferraro il Ros si rivolse a Borsellino, ha raccontato di un secondo incontro tra De Donno e l'ex direttore degli affari penali. "Nell'ottobre del 1992 - ha detto - Ferraro mi disse di avere visto de Donno e che questi le aveva chiesto di agevolare alcuni colloqui investigativi tra mafiosi detenuti e il Ross e se c'erano impedimenti a che la procura generale rilasciasse il passaporto a Vito Ciancimino". Anche questo secondo racconto della Ferraro fece adirare l'ex ministro che disapprovava l'indipendenza del Ros e riteneva Ciancimino "una delle menti più raffinate di Cosa nostra". "Dare credibilità a Ciancimino per cercare di catturare latitanti - ha aggiunto - era un delirio. Per questo chiamai l'allora procuratore generale di Palermo Bruno Siclari esprimendogli la mia contrarietà alla storia del passaporto".
Martelli ha poi raccontato che nell'estate del'92, cioè dopo le stragi mafiose in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e ben prima dell'arresto del capo mafia Totò Riina, il generale dei carabinieri Francesco Delfino avrebbe annunciato al ministro della Giustizia di allora, Claudio Martelli, che il boss mafioso sarebbe stato arrestato da lì a poco. "Ricordo che nell'estate del '92 - ha spiegato Martelli rispondendo ai pm - incontrai il generale Francesco Delfino che mi disse 'Stia tranquillo, le faccio un ben regalo di Natale: le porteremo Totò Riina...'". Nel corso del controesame, Martelli è ritornato sull'argomento e dice: "Nell'estate '92 il generale Delfino era in Piemonte. Io quella volta ebbi la sensazione di qualcosa di pittoresco".
Fonte: Repubblica.it
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