
Nemmeno una sillaba sul reato più socialmente allarmante, la corruzione, che secondo la Banca Mondiale e la Corte dei Conti si mangia ogni anno 50-60 miliardi di euro. Quanti scippatori devono mettersi all’opera, e quante borsette devono rubare in media al giorno, per racimolare un bottino equivalente? Non resta che sperare nei finiani, sempre a patto che qualcuno dall’opposizione si svegli e prenda l’iniziativa di presentare un testo. Non c’è bisogno di grandi sforzi di fantasia. Basta copiare dalla miriade di proposte e disegni di legge giacenti in Parlamento e ivi insabbiati da anni (ce n’è persino uno firmato da Mastella, che non è affatto male). Nei prossimi giorni Il Fatto metterà qualche idea semplice semplice a disposizione di eventuali oppositori disposti a raccoglierla e a tradurla in un testo. A cominciare da quella avanzata nel settembre del 1994, in piena Tangentopoli, dal pool Mani Pulite e da un gruppo di giuristi e docenti universitari (fra i quali l’attuale presidente dell’Unione Camere penali, Oreste Dominioni).
Era articolata in tre punti. Primo: non punibilità per il corruttore o il corrotto che va spontaneamente a confessare e a denunciare i complici, “prima che la notizia di reato sia stata iscritta a suo nome e comunque entro 3 mesi dalla commissione del fatto”. Sempreché restituisca il maltolto fino all’ultima lira. E con la sanzione automatica della decadenza e dell’interdizione dai pubblici uffici. In pratica, si rompe il vincolo di omertà fra corruttore e corrotto e si innesca una corsa a chi arriva prima a denunciare se stesso e l’altro per guadagnarsi l’impunità. L’obiettivo è quello di far emergere gran parte del sommerso di Tangentopoli, evitando ricatti e veleni. Secondo: i reati di corruzione e concussione diventano uno solo: è vietato offrire e dare soldi a un pubblico funzionario, non importa se costretti o spontaneamente, né in cambio di quale favore lecito o illecito.
Terzo: linea dura con chi arriva fuori tempo massimo, o non confessa tutto, o viene colto con le mani nel sacco; custodia cautelare obbligatoria per corrotti e corruttori, come per i mafiosi, con pene che salgono da un minimo di 4 a un massimo di 12 anni per il pubblico ufficiale corrotto e da 3 a 8 per il corruttore privato (nessuna speranza di prescrizione). Sedici anni fa la proposta suscitò reazioni entusiastiche da An e dalla Lega. Ignazio La Russa stuzzicò i forzisti perplessi: “Che il progetto Di Pietro potesse essere sconosciuto a Forza Italia mi sembra poco credibile, anzi resto convinto che i vertici ne fossero informati: vi han collaborato alcuni avvocati vicini a loro...” (per esempio Dominioni, allora difensore di Berlusconi). Maroni e Tremonti incontrarono i pm promotori e alla fine il primo parlò di “iniziativa interessante da discutere fra magistrati e governo”. Che cos’è cambiato da allora a oggi, a parte il fatto che allora Tangentopoli ci costava 6-7 miliardi l’anno e oggi dieci volte tanto?
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 07 aprile, in edicola
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