Almeno 35 milioni di euro. Sono i soldi pubblici, secondo i dati pubblicati dal governo, che il quotidiano Libero ha ricevuto dal 2003 a oggi. Una media di sei milioni di euro all’anno. Tradotto, mezzo milione di euro al mese. Un’entrata niente male: ora si capisce perché da quando è nato, nel 2000, il giornale fondato da Vittorio Feltri ha fatto di tutto per rincorrere la legge. Prima organo di partito, poi cooperativa di giornalisti, in fine diretta emanazione della Fondazione San Raffaele, che ne controlla il 100 per cento delle azioni. A ogni cambio, un aumento dell’incasso.
Ha cominciato come organo del Movimento Monarchico Italiano. Come? Ce lo spiegano proprio i monarchici: "L’accesso ai finanziamenti statali era prerogativa del Periodico Opinioni Nuove – spiega il segretario nazionale dell’Mmi, Alberto Claut – che inizialmente percepiva l’equivalente di 8.000 euro in quanto periodico d’informazione del Movimento Monarchico Italiano rappresentato in Parlamento da senatori e deputati con apposita dichiarazione scritta”". Proprietario della testata Opinioni Nuove, la stessa con cui oggi è registrato Libero, era il Centro Studi Sociali A. Cavalletto Soc. Coop. a r.l,: una cooperativa di Padova che nel 2002 prima affittò la testata, e poi la vendette. Primo acquirente fu Stefano Patacconi, imprenditore morto suicida nel 2001. È allora che arrivano gli Angelucci, imprenditori della sanità con il pallino dell’editoria. I monarchici, con i proventi della compravendita decisero di pubblicare un nuovo periodico, Opinioni Nuove Notizie che non riceve alcun finanziamento. "Controlli pure, abbiamo fatto delle inserzioni pubblicitarie su Libero il 4 novembre e il 17 marzo scorso, e le abbiamo pagate normalmente. Sarei molto felice di dire che la Repubblica italiana sta finanziando i monarchici – dice il segretario dell’Mmi, Alberto Claut – ma non è così. Peccato, non posso dirlo".
La Repubblica, in compenso, finanzia – e bene – la creatura di Feltri ora affidata a Maurizio Belpietro. A Libero capiscono subito che uno dei modi per intascare più soldi è aumentare la tiratura, anche a costo di regalare il giornale. Il contributo all’editoria, infatti, si basa sui costi sostenuti dall’impresa e sul numero di copie stampate. Come documentato da Report nel 2006, Libero usa abbandonare vicino alle fermate della metropolitana copie e copie del giornale, che i cittadini possono gratuitamente portarsi a casa. Sono lontani i tempi degli otto mila euro all’anno che i monarchici ricordano, nel 2003, Libero – in qualità di ex organo di movimento politico e ora considerato "cooperativa speciale" – riceve dallo Stato 5.371.151,76 euro. Alla Cel (Cooperativa editoriale Libero) va di lusso anche l’anno dopo: non ha più i benefici da ex organo politico, ma può godere dei contributi concessi alle cooperative editrici nate prima del 30 novembre 2001. Guarda caso lo è, e nel 2004 becca 5.990.900,01 euro. Lo stesso anno prende 463.742,64 come credito di imposta sulle spese sostenute per l'acquisto della carta utilizzata. Non va peggio l’anno dopo, anzi. Per la carta prende 558.106,53 e il contributo diretto continua a salire toccando quota 6.417.244,86. é qui che arriva l’ennesimo salto di qualità: dal 2005 Libero riceve contributi pubblici perché edito da un’impresa editrice la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali. Per questo nel 2006 porta a casa 7.953.436,26 euro e nel 2007 altri 7.794.367,53.
Nel frattempo da cooperativa si è trasformata in una srl, la Editoriale Libero. Ma tranquilli, c’è ancora un modo per continuare a ricevere soldi. Basta mettere come socio di maggioranza la Fondazione San Raffaele, presidio ospedaliero di Ceglie Messapica, provincia di Brindisi. Per capire quanto pesano i contributi statali sul bilancio di Libero basti un dato: il costo del personale nel 2008 è stato di 7,5 milioni, circa 300 mila euro in meno del contributo. In pratica tutti i 98 dipendenti (compresi 83 giornalisti) sono stati pagati con i soldi di quello stesso Stato che ogni giorno viene attaccato per i suoi sprechi dal giornale di Maurizio Belpietro.
Da il Fatto Quotidiano del 7 aprile
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