Ieri abbiamo provato un sincero moto di solidarietà per Cesare Previti e per la buonanima di Bottino Craxi. Del primo, che tanto ha fatto per la causa berlusconiana comprando giudici, affrontando processi, subendo condanne, subendo l’onta del carcere e dei domiciliari senza neppure fuggire all’estero come i veri statisti, nessuno si ricorda più. Nemmeno una fugace riabilitazione, un vicoletto alla Magliana, un messaggino del capo dello Stato. Anzi, una mazzata della Corte europea che ha giudicato “eque” le sue condanne, inflitte dallo stesso Tribunale di Milano che, secondo il capo dello Stato, riservò a Craxi un processo iniquo. Quanto a Bottino, si può anzi si deve pensarne tutto il male possibile.
Ma non che meriti di esser commemorato da Schifani: questo no, questo è troppo anche per lui. Farlo ricordare da un ex autista, già principe del foro del recupero crediti, per giunta alla presenza di Del Turco e Sgarbi, denota un accanimento inaccettabile, anzi – come direbbe qualcuno – “una durezza senza eguali”. Un estremo oltraggio che non auguriamo nemmeno al nostro peggior nemico. Del resto di estremi oltraggi il povero Bottino ne sta subendo parecchi: se l’altro giorno avesse potuto balzare fuori dalla tomba di Hammamet, non osiamo immaginare che ne sarebbe stato di Fabrizio Cicchitto, proteso verso il tumulo a pontificare nella certezza che l’illustre inquilino non potesse più parlare. L’incappucciato piduista, ultimamente in borghese, ha poi traslocato dal cimitero tunisino a quello di Vespa. E lì s’è ritrovato di fronte, sia pure in un’intervista registrata 14 anni fa con Vespa, il Craxi autentico, che parlava con la massima naturalezza dei conti esteri del Psi e non solo.
Era un Vespa inedito, quello modello 1996: un insetto superaccessoriato, con molti più nei e molte più domande di oggi. Pareva quasi un giornalista. Mostrava financo di conoscere qualche fatto. E chiedeva conto dei conti, dei prestanomi personali Tradati e Raggio del tutto estranei al partito, delle ruberie, degli arricchimenti. Parlava di Tangentopoli citando le tangenti: roba da matti, oggi infatti ha smesso. Craxi provava a giustificarsi con la scusa dei “costi esorbitanti dei partiti” e della “legge ipocrita sul finanziamento p u bbl i c o ” e l’insetto l’incalzava: “Perché non l’avete cambiata? Che dovevano fare i giudici, visto che violavate le vostre leggi? Possibile che decine di giudici si siano messi d’accordo per perseguitarla”. In studio, sconvolto, Cicchitto rinunciava alla litania sulla persecuzione dell’innocente, visto che l’innocente aveva appena confessato tutto. E, uscito fuori copione, delirava: “Perché Craxi è stato condannato e Occhetto e Scalfaro no?”. L’idea che Occhetto e Scalfaro non rubassero, non si facessero portare le mazzette sul letto, non avessero conti personali in Svizzera per comprarsi case e aerei privati o regalare ville e alberghi al fratello e all’amante, non lo sfiora. Per lui, vero garantista, la giustizia giusta deve condannare tutti i politici a prescindere dai reati e dalle prove, oppure assolverli tutti.
C’era anche il piccolo Bobo, ma quando il dipietrista Donadi gli ha ricordato i versamenti che papà faceva per lui dai conti delle tangenti (80 milioni per affittargli un villino a Saint Tropez) è letteralmente evaporato. E c’era pure Nick Latorre che, nonostante la faccia e le intercettazioni Unipol, i vertici del Pd continuano a mandare in tv per perdere qualche altro voto. Pure lui, come tutti i politici della casta che partecipano alla beatificazione di San Bottino, lacrimava sincera sofferenza per la grave ingiustizia subìta da Craxi visto che rubavano tutti. Questa gente non si rende nemmeno conto del danno che fa innanzitutto a se stessa. Vedendo un politico che piange per le condanne di un ladro reo confesso e dice che erano tutti come lui, qualcuno potrebbe porsi una domanda semplice semplice: scusa, tesoro, ma hai rubato anche tu.
Fonte: Il Fatto quotidiano
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