“Non ho paura di morire. Se Dio vuole, la mia vita finisce qui, altrimenti tornerò a casa e rivedrò
i miei figli". Ahmed è un po' il capo, qui nella "rognetta", il rifugio dei braccianti africani che raccolgono mandarini in giro per le campagne di Rosarno. Ventitré euro al giorno netti. Cinque li pagano al caporale, "che è uno di noi", raccontano. "E due euro li paghiamo di benzina". Dopo essersi spaccati la schiena nei campi, per 14 ore al giorno, tornano alla "rognetta", o alla "ex Sila",
che sono i due accampamenti nei quali dormono.
Intorno a loro c'è puzza di urina, bucce di arancia che fermentano, una decina di soltanto poche ore prima, erano state occupate dagli immigrati. Tra rosarnesi e braccianti stranieri, asserragliati
in una vecchia fabbrica, nella spettrale zona industriale, fanno da cuscinetto i cellulari dei carabinieri. Oramai è solo violenza e terrore. E stanchezza, sui volti dei militari, che si spostano
in continuazione, ininterrottamente ormai, da quasi venti ore. Fanno la spola tra la vecchia fabbrica dismessa, in paese, e quella sulla strada statale: con la mediazione della Caritas, nel primo pomeriggio, hanno convinto gli immigrati a spostarsi, tutti, in unico posto.
Balou ci mostra la ferita sul braccio, quella della fucilata a piombini di due giorni fa, quella che ha
scatenato la sommossa. Ha un cerotto sul braccio, il giubbotto perforato, il maglione insanguinato. “Non siamo bestie”, dicono intorno a lui, mentre ci mostrano in che condizioni vivono: portano su un passeggino una tanica d’acqua, la riscaldano in un pentolone, con il mangiare appeso ai muri, nei sacchetti di plastica, per il timore che i topi mangino tutto. Posti di blocco, spranghe, fucili e armi i m p ro v v i s a t e : l’intero paese è coinvolto in uno stato di assedio Bilancio: 18 feriti tra le forze dell’ordine, 19 tra gli immigrati bagni chimici, neanche un posto dove fare la doccia.
Quasi nessuno parla l'italiano. Ahmed il marocchino è uno dei pochi. Anche per questo sembra il capo. "Ho due figli", racconta. "E non li vedo da cinque anni. Se torno a casa non mi riconoscono neanche più. Ma spedisco loro soldi ogni mese". A modo suo, è un imprenditore. "I soldi che guadagno qui, in campagna, li reinvesto in costumi e asciugamani da bagno, che rivendo d'estate,
quando lavoro sulle spiagge. Però non è più possibile sopportare tutto questo. Io lavoro, punto. Tutti, qui lavoriamo. E non vogliamo altro. Ci sta bene pure dormire in queste condizioni, non importa, l'importante è lavorare onestamente e spedire i soldi a casa. Ma non possiamo essere sparati, come è successo al mio amico Babou, e non reagire.
Non abbiamo più niente da perdere. La gente deve capire un concetto semplice: io sono sbarcato a Lampedusa, ho rischiato di morire in mare, per venire qui. Credevo di trovare il paradiso e ho trovato l'inferno. Ho rischiato di morire già una volta, non mi fa paura rischiare di morire adesso,
perché so di essere nel giusto". Babou lo guarda e annuisce. Mostra il braccio ferito dal proiettile di gomma, che gli hanno sparato l'altro giorno: "Non sono una bestia", dice in francese, perché non parla una parola d'italiano. È arrivato pochi giorni fa da Brescia e vuole ripartire. "Provo soltanto dolore", racconta in francese, "e non riesco neanche a pensare che sia razzismo.
Sono arrivato il 21 dicembre, e voglio essere onesto, posso parlare soltanto per me, per quello che ho visto, e in due settimane non posso dire che Rosarno è razzista. Posso soltanto dire che c'è tanta, troppa violenza, e io devo sfamare i miei due figli, che sono in Costa d'Avorio, non appena mi aiutano a partire, vado via, per cercarmi lavoro altrove".
Fatto Quotidiano del 09.01.2010
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i miei figli". Ahmed è un po' il capo, qui nella "rognetta", il rifugio dei braccianti africani che raccolgono mandarini in giro per le campagne di Rosarno. Ventitré euro al giorno netti. Cinque li pagano al caporale, "che è uno di noi", raccontano. "E due euro li paghiamo di benzina". Dopo essersi spaccati la schiena nei campi, per 14 ore al giorno, tornano alla "rognetta", o alla "ex Sila",
che sono i due accampamenti nei quali dormono.
Intorno a loro c'è puzza di urina, bucce di arancia che fermentano, una decina di soltanto poche ore prima, erano state occupate dagli immigrati. Tra rosarnesi e braccianti stranieri, asserragliati
in una vecchia fabbrica, nella spettrale zona industriale, fanno da cuscinetto i cellulari dei carabinieri. Oramai è solo violenza e terrore. E stanchezza, sui volti dei militari, che si spostano
in continuazione, ininterrottamente ormai, da quasi venti ore. Fanno la spola tra la vecchia fabbrica dismessa, in paese, e quella sulla strada statale: con la mediazione della Caritas, nel primo pomeriggio, hanno convinto gli immigrati a spostarsi, tutti, in unico posto.
Balou ci mostra la ferita sul braccio, quella della fucilata a piombini di due giorni fa, quella che ha
scatenato la sommossa. Ha un cerotto sul braccio, il giubbotto perforato, il maglione insanguinato. “Non siamo bestie”, dicono intorno a lui, mentre ci mostrano in che condizioni vivono: portano su un passeggino una tanica d’acqua, la riscaldano in un pentolone, con il mangiare appeso ai muri, nei sacchetti di plastica, per il timore che i topi mangino tutto. Posti di blocco, spranghe, fucili e armi i m p ro v v i s a t e : l’intero paese è coinvolto in uno stato di assedio Bilancio: 18 feriti tra le forze dell’ordine, 19 tra gli immigrati bagni chimici, neanche un posto dove fare la doccia.
Quasi nessuno parla l'italiano. Ahmed il marocchino è uno dei pochi. Anche per questo sembra il capo. "Ho due figli", racconta. "E non li vedo da cinque anni. Se torno a casa non mi riconoscono neanche più. Ma spedisco loro soldi ogni mese". A modo suo, è un imprenditore. "I soldi che guadagno qui, in campagna, li reinvesto in costumi e asciugamani da bagno, che rivendo d'estate,
quando lavoro sulle spiagge. Però non è più possibile sopportare tutto questo. Io lavoro, punto. Tutti, qui lavoriamo. E non vogliamo altro. Ci sta bene pure dormire in queste condizioni, non importa, l'importante è lavorare onestamente e spedire i soldi a casa. Ma non possiamo essere sparati, come è successo al mio amico Babou, e non reagire.
Non abbiamo più niente da perdere. La gente deve capire un concetto semplice: io sono sbarcato a Lampedusa, ho rischiato di morire in mare, per venire qui. Credevo di trovare il paradiso e ho trovato l'inferno. Ho rischiato di morire già una volta, non mi fa paura rischiare di morire adesso,
perché so di essere nel giusto". Babou lo guarda e annuisce. Mostra il braccio ferito dal proiettile di gomma, che gli hanno sparato l'altro giorno: "Non sono una bestia", dice in francese, perché non parla una parola d'italiano. È arrivato pochi giorni fa da Brescia e vuole ripartire. "Provo soltanto dolore", racconta in francese, "e non riesco neanche a pensare che sia razzismo.
Sono arrivato il 21 dicembre, e voglio essere onesto, posso parlare soltanto per me, per quello che ho visto, e in due settimane non posso dire che Rosarno è razzista. Posso soltanto dire che c'è tanta, troppa violenza, e io devo sfamare i miei due figli, che sono in Costa d'Avorio, non appena mi aiutano a partire, vado via, per cercarmi lavoro altrove".
Fatto Quotidiano del 09.01.2010
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