ROMA - Un milione e mezzo di nuovi disoccupati. Tanti sono coloro che nei primi nove mesi di quest'anno hanno chiesto all'Inps l'indennità di disoccupazione, quella ordinaria o con i requisiti ridotti. A loro vanno aggiunti gli oltre 60 mila che, sempre da gennaio a settembre, sono entrati nelle liste di mobilità e quindi sono a un passo dal licenziamento. Nel limbo restano i cassintegrati in attesa che i mercati mondiali riprendano sperando che le proprie aziende non debbano ricorrere a cure drastiche di ristrutturazioni, con tagli alle produzioni e al personale. Ma intanto le ore di cassa integrazione marciano spedite verso il record: a ottobre hanno superato quota 716 milioni contro gli 800 milioni toccati nell'annus horribilis che fu il 1984.
È l'Italia che perde il lavoro, che ha già ridotto il suo tasso di occupazione (dal 59,2 per cento al 57,9 per cento), e che ha aumentato il tasso di disoccupazione dal 6,8 per cento del 2008 al 7,4 per cento. È l'Italia che in un anno ha perso oltre 200 mila lavoratori con contratto a tempo determinato, e circa 210 mila di lavoratori autonomi, tra finte "partite Iva" e collaboratori. E poi tanti altri precari che però non rientrano nelle statistiche ufficiali.
Questa è la faccia sociale della crisi. Che passa dai grandi gruppi multinazionali, alle piccole imprese; dai mega call center agli impianti siderurgici; dalle aziende della sanità privata agli artigiani dei distretti. Che va dal nord a sud senza soluzione di continuità. "I dati - sostiene Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil - smentiscono la tesi di chi dice che la crisi è finita. La verità è che il 2010 sarà un anno drammatico per l'occupazione. E gli ultimi 3,5 miliardi per finanziare il rinvio dell'acconto Irpef sono buttati per la propaganda: non serviranno a nulla. Mentre basterebbe la metà per sostenere il reddito dei co. co. pro che perdono il lavoro e per allungare la durata della cassa integrazione".
La crisi vive anche di drammatici paradossi. Come quello della grande Nestlé, multinazionale dell'industria alimentare, produzione notoriamente anticicliche. Dal palco di Piazza del Popolo è stato ieri il delegato Cgil dello stabilimento di Parma, Alessandro Grossi a raccontare che dal '96 a oggi la Nestlé ha diminuito gli impianti da 19 a 5, depauperato il territorio industriale, con un ricorso spropositato agli ammortizzatori sociali per far quadrare i bilanci e "soddisfare gli azionisti". Poca industria, dunque, e molta ricerca del profitto. Nello stabilimento parmense 44 persone sono in cassa integrazione straordinaria, 30 in mobilità e 90 in cig ordinaria.
Così pezzi di industria rischiano di scomparire, come l'Alcoa (alluminio) con duemila dipendenti in Italia e l'annuncio che il 30 novembre chiuderà lo stabilimento sardo di Portovesme. Licenzia l'Eutelia (1.200 persone su un totale di circa 2.000), azienda dell'information technology, in una vicenda dai contorni poco chiari. Non ricevono lo stipendio da otto mesi i 1.600 dipendenti di Villa Pini d'Abruzzo di quel Vincenzo Angelini coinvolto nello scandalo della sanità abruzzese. Non pagano da tre mesi nemmeno all'Omega (call center) di Pistoia. Qui i lavoratori sono ricorsi alla "cassa di resistenza". Vecchi strumenti per la crisi più lunga del dopoguerra.
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È l'Italia che perde il lavoro, che ha già ridotto il suo tasso di occupazione (dal 59,2 per cento al 57,9 per cento), e che ha aumentato il tasso di disoccupazione dal 6,8 per cento del 2008 al 7,4 per cento. È l'Italia che in un anno ha perso oltre 200 mila lavoratori con contratto a tempo determinato, e circa 210 mila di lavoratori autonomi, tra finte "partite Iva" e collaboratori. E poi tanti altri precari che però non rientrano nelle statistiche ufficiali.
Questa è la faccia sociale della crisi. Che passa dai grandi gruppi multinazionali, alle piccole imprese; dai mega call center agli impianti siderurgici; dalle aziende della sanità privata agli artigiani dei distretti. Che va dal nord a sud senza soluzione di continuità. "I dati - sostiene Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil - smentiscono la tesi di chi dice che la crisi è finita. La verità è che il 2010 sarà un anno drammatico per l'occupazione. E gli ultimi 3,5 miliardi per finanziare il rinvio dell'acconto Irpef sono buttati per la propaganda: non serviranno a nulla. Mentre basterebbe la metà per sostenere il reddito dei co. co. pro che perdono il lavoro e per allungare la durata della cassa integrazione".
La crisi vive anche di drammatici paradossi. Come quello della grande Nestlé, multinazionale dell'industria alimentare, produzione notoriamente anticicliche. Dal palco di Piazza del Popolo è stato ieri il delegato Cgil dello stabilimento di Parma, Alessandro Grossi a raccontare che dal '96 a oggi la Nestlé ha diminuito gli impianti da 19 a 5, depauperato il territorio industriale, con un ricorso spropositato agli ammortizzatori sociali per far quadrare i bilanci e "soddisfare gli azionisti". Poca industria, dunque, e molta ricerca del profitto. Nello stabilimento parmense 44 persone sono in cassa integrazione straordinaria, 30 in mobilità e 90 in cig ordinaria.
Così pezzi di industria rischiano di scomparire, come l'Alcoa (alluminio) con duemila dipendenti in Italia e l'annuncio che il 30 novembre chiuderà lo stabilimento sardo di Portovesme. Licenzia l'Eutelia (1.200 persone su un totale di circa 2.000), azienda dell'information technology, in una vicenda dai contorni poco chiari. Non ricevono lo stipendio da otto mesi i 1.600 dipendenti di Villa Pini d'Abruzzo di quel Vincenzo Angelini coinvolto nello scandalo della sanità abruzzese. Non pagano da tre mesi nemmeno all'Omega (call center) di Pistoia. Qui i lavoratori sono ricorsi alla "cassa di resistenza". Vecchi strumenti per la crisi più lunga del dopoguerra.
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