Buongiorno a tutti. Oggi non ci vediamo perché sono ancora convalescente da un piccolo intervento chirurgico, e dunque mi scuserete se comunico con voi con un mezzo più arcaico, la scrittura. Ma l’importante, specie di questi tempi, è comunicare. Lunedì scorso abbiamo parlato dell’attacco squadristico
di Feltri al direttore di Avvenire, sputtanato dal Giornale (si fa per dire) e da Libero (si fa sempre per dire) perché, dopo anni di fiancheggiamento filoberlusconiano, aveva osato prudentissimamente criticare sul giornale dei vescovi italiani certe condotte tutt’altro che private del nostro presidente del Consiglio.Dino Boffo è stato costretto a dimettersi non per quel fiancheggiamento imbarazzante, e nemmeno per il suo reato di molestie ai danni di una ragazza di Terni che gli è costato una condanna a 516 euro di ammenda (con un decreto penale al quale non si è opposto, e non con patteggiamento come sembrava una settimana fa). Ma per una delle poche cose giuste che ha fatto: le critiche, per quanto pallide e tardive, a Berlusconi. Leggendo Il Giornale, che aveva rispolverato la notizia già data in breve da Panorama e dal blog di Mario Adinolfi, pareva che negli atti del processo si parlasse anche dell’omosessualità di Boffo come possibile movente di quelle molestie a una donna presentata come compagna del suo ex fidanzato. In realtà si è scoperto che Il Giornale non possedeva quegli atti, ma soltanto il casellario giudiziale di Boffo in cui risultava la condanna, ma non il racconto dei fatti.
Casellario giunto in forma anonima con allegata la famosa lettera anonima spacciata dal Giornale per una “nota informativa” di fonte poliziesca o giudiziaria. Non si riesce mai a pensar male nemmeno delle persone di cui già si pensa tutto il male possibile: non credevo che Feltri e i suoi cosiddetti cronisti si sarebbero spinti a riferire un anonimo che parlava di Boffo come di un omosessuale senza possedere uno straccio di carta che lo confermasse. Invece s’è poi scoperto che le cose sono andate così.
Quindi confermo tutto ciò che ho detto lunedì, compresa la considerazione (avvalorata anche da un’analoga osservazione dello scrittore cattolico Vittorio Messori sul Corriere della sera di ieri) che la Cei avrebbe dovuto allontanare Boffo una volta appurato che era stato condannato per molestie, sia per una questione di dignità e di coerenza, sia per non seguitare ad affidare l’intero apparato comunicativo della Chiesa italiana a un soggetto così discutibile e ricattabile. Non posso invece confermare la faccenda dell’omosessualità: a parte la lettera anonima, al momento non c’è alcuna fonte che riferisca dell’omosessualità dell’ex direttore di Avvenire.
Il quale però, sia detto per inciso, è l’unico in possesso degli atti del suo processo: se davvero, come dice, in quegli atti non c’è nulla di infamante, o imbarazzante o incoerente, avrebbe il dovere di renderli pubblici per chiudere finalmente questa vicenda e inchiodare gli squadristi alle loro responsabilità.
Detto tutto ciò, non c’è stato soltanto il caso Boffo. Feltri è stato di parola, e in questa settimana s’è dedicato a massaggiare altri giornalisti e politici che hanno il grave torto di dare fastidio a Berlusconi. Alcuni fanno (o facevano) gli imprenditori, come De Benedetti, Agnelli, la famiglia Moratti: di questi non mi occupo, perché hanno tutti i mezzi per difendersi (o, per i defunti, di farsi difendere dagli eredi). Altri invece fanno i giornalisti, come Ezio Mauro, direttore di Repubblica, tirato in ballo per le modalità di pagamento della sua casa.
O come Federica Sciarelli, sbattuta in prima pagina sul Giornale di ieri perché – udite udite – è amica del pm Henry John Woodcock e soprattutto ha scoperchiato, nel suo programma su Rai3, alcuni misteri d’Italia che riguardano il Cavaliere e i suoi cari. E si appresta a ricominciare sull’unica rete Rai che il premier ancora non controlla (ma ci sta lavorando, con la soluzione Minoli). Dunque, giù botte a Federica Sciarelli. Ma ieri il Giornale ne aveva anche per Napolitano, reo di aver ricordato il dramma dei precari e dei disoccupati: Feltri l’ha subito fucilato con un bel paginone dal titolo “Lavoro, i dati che contraddicono il Colle”. Così la prossima volta impara. Già che c’era, il Giornale ha fatto due pagine contro Di Pietro, riciclando la vecchia notizia della sua sospensione dall’ordine degli avvocati perché aveva rifiutato di seguitare ad assistere un suo amico una volta scoperto che aveva ammazzato la moglie. Giusto: un avvocato che rifiuta di difendere un colpevole va punito, invece chi difende solo i colpevoli va dritto e filato in Parlamento.
Nel frattempo il premier metteva a posto l’Unità e Repubblica, chiedendo rispettivamente 1 e 2 milioni di danni per vari articoli che mettevano in dubbio la sua virilità, mentre, come annuncia Ghedini al Corriere della sera, “Berlusconi è pronto ad andare in aula a spiegare che non solo non è un gran porco, ma nemmeno impotente” e addirittura a “spiegare a venti milioni di italiani, suoi affezionati elettori, che è perfettamente funzionante”. Abbiamo un utilizzatore finale di mignotte perfettamente funzionante, e ci lamentiamo pure.
Naturalmente l’utilizzatore finale può denunciare chi gli pare, ma non può essere a sua volta querelato: se uno lo critica finisce in tribunale, mentre se lui insulta noi non possiamo querelarlo perché è invulnerabile, immunizzato dal lodo Alfano. Il 6 ottobre potrebbe non esserlo più: la Corte costituzionale, compresi i due giudici che vanno a cena con lui e con Alfano, deciderà sulla costituzionalità o meno del Lodo. Ma Maurizio Gasparri, capogruppo del partito di maggioranza relativa al Senato, ha detto alla Summer School del Pdl a Frascati che, se la Consulta dovesse bocciare la il Lodo, “troveremo un avvocato, un Ghedini o un Ghedoni, che troverà un cavillo”. Così il Capo continuerà a utilizzare e noi a essere utilizzati.
Anche “Libero” ci mette del suo e pubblica addirittura le mail private di alcuni magistrati che frequentano la mailing list di Magistratura democratica: non so se vi rendete conto, le mail private. Vuol dire che qualcuno sta spiando le mail dei magistrati e poi le passa ai quotidiani del centrodestra. Quelli che tuonano ogni giorno in difesa della privacy, quando viene fotografato Berlusconi, cioè l’uomo pubblico che meno ha diritto alla privacy visto che è il capo del governo e, come dice persino sua figlia Barbara, non può separare la sua vita privata da quella pubblica. Del resto Il Giornale e Libero hanno persino pubblicato la foto della ragazza molestata da Boffo: e il Garante della Privacy, quello che strilla per le foto di Zappadu a Villa Certosa e all’aeroporto di Olbia, zitto e muto. E la Procura di Roma, quella che incrimina Zappadu e sequestra le sue foto a gentile richiesta di Palazzo Chigi, ferma immobile. Stiamo parlando delle foto di una ragazza che è stata vittima di un reato di molestie e che si vede sbattuta sui giornali, così adesso tutti sanno chi è. E nessuno dice niente. E nessuno fa niente. Nemmeno i sedicenti “liberali” che tromboneggiano in difesa della privacy sul Corrierone.
La guerra dei dossier è appena agli inizi. “Cominciamo da Dino Boffo”, aveva scritto Feltri dieci giorni fa, ed è stato di parola. La lista è lunga. Ora chiunque voglia fare una sia pur timida critica all’Utilizzatore, sa che l’indomani potrebbe ritrovarsi il suo dossier su uno dei giornali dell’Utilizzatore: una foto in compagnia di una ragazza, un contratto di locazione, una mail privata, o magari un fascicolo di Pio Pompa. Già, perché ce lo siamo scordato, ma tre anni fa saltò fuori un archivio illegale del Sismi, diretto dal generale Niccolò Pollari, fedelissimo di Berlusconi. E’ bene ricordare di che si trattava, per capire come lavora questa gentaglia.
Il 5 luglio 2006, su ordine della Procura di Milano, gli agenti della Digos fecero irruzione in un palazzo in via Nazionale 230, a Roma. E lì, al sesto piano scala B interno 12, trovarono un mega-appartamento di quattordici stanze dove viveva giorno e notte, ma soprattutto lavorava tra una decina di computer perennemente accesi, un signore abruzzese di 55 anni, “analista” di fiducia di Pollari. Il quale, invece di individuare i nemici dello Stato e le minacce per la sicurezza nazionale, schedava potenziali nemici dell’amato premier Berlusconi: nei cassetti, negli schedari, nelle casseforti e nei computer dell’appartamento di via Nazionale, la Polizia trova centinaia di appunti, report e dossier su politici, magistrati, imprenditori, giornalisti, dirigenti delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza, oltre alle prove dell’attività di disinformatija svolta da Pompa per conto di Pollari recapitando e facendo pubblicare “veline”, perlopiù inattendibili, da giornalisti amici.
Tra l’altro, saltano fuori alcune ricevute che documentano i pagamenti a uno dei giornalisti più fidati del giro Pompa: l’allora vicedirettore di “Libero” Renato Farina che, negli anni, aveva percepito almeno 30mila euro, in violazione della legge istitutiva dei servizi segreti, per pubblicare notizie tanto “ispirate” quanto false in tema di lotta al terrorismo. Farina ha poi patteggiato la pena per aver depistato le indagini sul sequestro di Abu Omar, in cui il Sismi di Pollari era invischiato fino al collo, e dunque oggi è deputato del Pdl ed è appena riapprodato da Libero al Giornale, al seguito di Feltri. Pompa e Pollari sono stati rinviati a giudizio nel processo per il sequestro di Abu Omar. Nell’ufficio occulto di Pompa in via nazionale, la Digos ha sequestrato un report di ventitré pagine, nove delle quali scritte a macchina e datate 24 agosto 2001, in cui si proponeva di “neutralizzare e disarticolare anche con mezzi traumatici” gli oppositori veri o presunti del secondo governo Berlusconi, all’epoca appena nato. Tra i personaggi schedati o spiati o attenzionati in quelle liste di proscrizione, c’erano molti nomi, fra i quali: l’allora direttore dell’Unità Furio Colombo e quello di Micromega, Paolo Flores d’Arcais, nonché l’editore del gruppo Espresso-Repubblica, Carlo De Benedetti.
E poi i pm antimafia di Palermo: Antonio Ingroia, Gioacchino Natoli, Alfonso Sabella, Teresa Principato, con l’ex procuratore Gian Carlo Caselli. Naturalmente non mancavano i migliori magistrati milanesi: Edmondo Bruti Liberati, Fabio De Pasquale, Giovanna Ichino, Corrado Carnevali, Fabio Napoleone e tutto il pool Mani Pulite: Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Ilda Boccassini, Francesco Greco, Margherita Taddei. E poi altri giudici perbene come Mario Almerighi, Libero e Paolo Mancuso, Loris D’Ambrosio, Gianni Melillo, Elisabetta Cesqui, Giovanni Salvi, Corrado Lembo, Vittorio Paraggio, Felice Casson, Alberto Perduca, Mario Vaudano.
E perfino magistrati stranieri come lo spagnolo Baltasar Garzòn e i francesi Anne Crenier ed Emmanuel Barbe. In tutto il Csm denuncerà che il servizio segreto militare aveva controllato, oltre a mezza Procura di Milano, 10 consiglieri (o ex) del Csm, 2 ex presidenti dell’Anm e 203 giudici di dodici Paesi europei (di cui 47 italiani). E poi il sociologo Pino Arlacchi, ora europarlamentare dell’Idv; politici di sinistra come Violante, Visco, Brutti, Maritati; l’allora dipietrista Elio Veltri, e l’attuale numero due dell’Idv Leoluca Orlando. In un altro appunto sequestrato in via Nazionale, si leggeva: “Si è avuta notizia che, sui recenti attacchi portati da alcune testate giornalistiche, avrebbero essenzialmente interagito: il nutrito gruppo di giornalisti e ‘giuristi’ militanti raccolto intorno alla ‘Voce della Campania’ diretta da Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola; Michele Santoro; Giuseppe Giulietti; Paolo Serventi Longhi; Ignazio Patrone; Sandro Ruotolo e Giulietto Chiesa; il presidente della stampa estera in Italia Eric Jozsef, corrispondente del giornale francese Libération”. Naturalmente, tra i giornalisti spiati e controllati, anche con apposite barbefinte mandate a sorvegliare le presentazioni dei nostri libri, c’eravamo pure Gianni Barbacetto, Peter Gomez e il sottoscritto.
Insomma, un bel po’ di collaboratori del Fatto Quotidiano. Già, perché oggi c’è anche qualche buona notizia. Gli abbonati al Fatto Quotidiano sono già 25 mila e continuano ad aumentare. Fra qualche giorno saremo in grado di pubblicare sul sito antefatto.it l’elenco delle città e delle località in cui il nostro nuovo giornale arriverà nelle edicole e dove no. Per questo gli abbonamenti in offerta col supersconto (vedi sempre www.antefatto.it) sono prorogati fino all’uscita del Fatto Quotidiano. Che è fissata per mercoledì 23 settembre. Ormai ci siamo, il conto alla rovescia è partito, mancano soltanto due settimane. Ci vediamo lunedì prossimo, intanto passate parola." Marco Travaglio
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