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Milan, la tentazione di Berlusconi Un piano con Gheddafi per lasciare

IL MILAN? Non è più un "asset strategico". Nella galassia imprenditoriale di Silvio Berlusconi, è un pianeta che "si può perdere". Non rientra nei piani aziendali a lunga scadenza. Insomma, i rossoneri sono "vendibili". O meglio, la tentazione del Cavaliere è quella di metterli già "in vendita".

Silvio Berlusconi ha resistito fino all'ultimo. Ha cercato di trattenersi dinanzi ai "numeri" del bilancio e al pressing della "famiglia". Ma alla fine ha accettato di imboccare la strada indicata da tempo dai suoi due figli maggiori, Marina e Piersilvio. Di preparare un "piano" per uscire dal calcio. La svolta è maturata questa estate. Il mercato in difficoltà, i risultati sportivi non più in linea con quelli del passato, i litigi domestici sull'eredità. E soprattutto gli effetti del campionato sui sondaggi di popolarità e sulle elezioni. "La vicenda Kakà - ha ricordato lo stesso presidente del Consiglio - mi ha fatto perdere almeno 2 punti nell'ultima tornata europea". Tutti fattori che lo hanno convinto ad accettare il "sacrificio". Al punto di avviare personalmente le prime trattative per la cessione.

Un percorso che sicuramente non sarà breve. L'Ac Milan costa tanto. Secondo le prime valutazioni, il valore si attesta tra i 600 e gli 800 milioni di euro. Non sarà quindi facile individuare un acquirente. Tant'è che la "grana" se l'è assunta direttamente Berlusconi effettuando qualche sondaggio. Domenica scorsa, il giorno dopo la sonora sconfitta subita nel derby, il capo del governo è volato a Tripoli per incontrare il leader libico Gheddafi. Un vertice istituzionale, certo. Nel corso del quale, però, il capitolo "affari" è stato preponderante. Il business petrolifero, quello infrastrutturale, quello delle tlc sono ormai da tempo al centro dei contatti tra Italia e Libia. Il Cavaliere ha inserito anche il dossier Milan provando a saggiare la disponibilità di uno dei fondi sovrani libici: il Central Bank of Lybia, il Lybian Investiment Authority o il Lybian Foreign Bank. Da tempo, del resto, questi soggetti sono attratti dal nostro calcio.

In passato è accaduto con la Juve, di recente hanno chiesto informazioni sulla Roma. E adesso Berlusconi li ha consultati sulla sua squadra. Per non turbare gli assetti societari e familiari, il capo del governo immagina una vendita "a tappe", senza strappi improvvisi. Con un primo ingresso in quota minoritaria. In ogni caso l'iter non deve condizionare le prossime scadenze politiche. Dei contatti libici ancora non si conoscono gli esiti, dimostrano però la ricerca di una nuova frontiera per il Diavolo.
La questione, dunque, è ufficialmente sul tavolo di Berlusconi. Anche perché il "mondo-Milan" non rappresenta più solo un "giocattolo sportivo". Sempre più interseca gli interessi politici e soprattutto quelli imprenditoriali e "familiari" del gruppo Fininvest-Mediaset.

Argomenti che il premier ha sollevato pure nella cena piuttosto mesta con Adriano Galliani organizzata in un noto ristorante di Milano dopo la partita di sabato scorso. E lo stesso amministratore delegato del Milan da tempo ha messo nel conto la "necessità" di vendere. In diverse occasioni, infatti, - in colloqui informali con esponenti del mondo politico e imprenditoriale - proprio Galliani si è sbilanciato sulle prospettive della sua società sportiva: "Il Milan - è stato il ragionamento esposto nelle ultime settimane - lo teniamo solo se resta competitivo a livello europeo. Ma per questo bisogna investire tanto. Il punto, però, è che ormai non so se sia possibile colmare in tempi brevi il gap con squadre come Manchester United, Real Madrid o Barcellona". Il Cavaliere si è sempre appoggiato sull'immensa turbina milanista che macinava consenso e alimentava un'immagine vincente. Con le sconfitte, però, l'effetto diventa opposto. E secondo l'inquilino di Palazzo Grazioli, le prime conseguenze si sono avvertite a giugno scorso. Alle Europee e nei sondaggi di popolarità.

Non solo. Lo stesso "numero due" milanista si è dovuto scontrare con la fermezza dei primogeniti del Cavaliere, Marina e Piersilvio. Poco interessati al calcio e soprattutto non più disponibili a ripianare i passivi del Milan. "Abbiamo dato già troppo", è il loro leit motiv riferito pure alle consistenti esposizioni bancarie. Tant'è che negli ultimi anni, alcune scelte di mercato sono state dettate proprio da "ragioni" di bilancio. Gli acquisti di calciatori come Ronaldo, Ronaldinho, Beckham rispondevano più alle logiche del merchandising che a quelle del calcio. Incrementare il valore del brand rossonero per ravvivare le casse di Milanello ed evitare esborsi eccessivi da parte di Fininvest. Seguendo un po' il modello spagnolo dei "Galacticos" di qualche anno fa. Con una differenza: il Real Madrid può contare sullo stadio di proprietà.

Appunto lo stadio. A Via Turati fino a qualche mese stavano lavorando per il nuovo impianto. Prevedendo una spesa di oltre 300 milioni di euro. Un investimento considerato prioritario e per il quale erano già state attivate le reti di finanziamento. Ma da questa estate l'intera procedura è stata bloccata. Su preciso input dello stesso Galliani. Il quale ha fatto sapere - persino agli uomini del comune incaricati di seguire la pratica - che per il momento ogni passo può essere sospeso. Un'indicazione coerente solo con la scelta di "vendere". "Per fare certe cose - si è lamentato con molti - dovremmo essere in Premier League". Eppure, in Italia altre squadre sono impegnate nello stadio di proprietà: la Juventus in primo luogo, ma anche team meno blasonati come Parma e Como.

La vera spinta ad accettare l'idea della cessione, però, è venuta dalla famiglia. La "fermezza" della prole berlusconiana risponde non solo all'esigenza di razionalizzare il core business del gruppo. Ma anche al desiderio di fare chiarezza sull'eredità dell'"impero". Visto che oltre a Marina e Piersilvio, pure Luigi, Barbara e Eleonora non hanno mai manifestato una particolare predisposizione per i rossoneri. Nessuno, insomma, sembra poi tanto interessato alle gesta di Pato, Gattuso e Pirlo.

Fonte: Repubblica.it
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