Da “partigiano della Costituzione” quale si autodefinisce, il
procuratore Antonio Ingroia ha inaugurato oggi dal Guatemala dove lavora
ora un blog (denominato appunto ‘Partigiani della Costituzione’) sul
sito della rivista ‘Micromega’, ovvero ‘Micromega.net’, con un articolo
dal titolo “Povera Italia” in cui, fra l’altro sottolinea come «in
democrazia è legittimo criticare anche la Consulta» la cui sentenze sul
conflitto di attribuzioni fra Quirinale e Procura di Palermo di cui
Ingroia era il numero due fino a un mese rappresenta «un pasticcio
politico», a vantaggio del Capo dello Stato.
«Apro oggi un blog da quaggiù, in Guatemala, terra difficile ed assai lontana dal Paese cui ho dedicato la mia vita, per una semplice ragione. Sento l’esigenza di far sentire la mia voce. Anche per non darla vinta a quelli che pensavano di essersi liberati di me col mio trasferimento in America Centrale…», ha spiegato Ingroia in qualcosa di molto simile a un manifesto politico.
Nel suo primo post l’ex pm illustra perché si sente un partigiano: «Io sono stato ed ancora mi sento, anche se nel diverso ruolo di funzionario dell’Onu, magistrato indipendente, ma rispetto ai valori non sono neutrale. Sarò sempre dalla parte dei principi di giustizia e di eguaglianza. Partigiano in nome del diritto. Ed il diritto è il regno del giusto, non dell’opportuno». Infine, «in terzo luogo, perché mi sento partigiano della Costituzione, come ho più volte rivendicato pubblicamente. Dalla parte della Costituzione, dei suoi principi fondamentali e dei suoi valori fondanti».
Quanto alla sentenza della Consulta, «quale miglior modo – ha sottolineato Ingroia – per aprire questa mia rubrica da ‘partigiano della Costituzione’, quale miglior modo per ricordare la mia fedeltà alla Costituzione, che spiegando la mia critica, anche aspra, nei confronti della recente decisione con la quale la Corte Costituzionale, custode della Costituzione, ha dato ragione al Presidente Napolitano nel conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo? C’è chi si meraviglia, autorevoli esponenti delle istituzioni e perfino la magistratura associata. Perché – dicono – la Corte Costituzionale non si tocca, non può essere criticata. Mi chiedo dove sta scritto».
«Il diritto di critica deve poter essere liberamente esercitato nei confronti di chiunque e di qualunque istituzione. Guai – ha sottolineato Ingroia- se non si consentisse il legittimo diritto di critica nei confronti di qualsivoglia provvedimento giudiziario, compresi quelli della Corte Costituzionale. Altra cosa, ovviamente, sono le invettive e gli insulti delegittimanti spesso piovuti addosso alle magistrature di ogni ordine e grado. Ma non confondiamo le due cose. Perché, altrimenti, si corre il rischio che il cliché dell’invettiva berlusconiana contro i provvedimenti giudiziari a lui non congeniali venga equiparato con ogni forma legittima di esercizio del diritto di critica, a discapito della libertà di espressione. Guai a trarre dall’abuso del diritto argomenti per limitare l’esercizio legittimo del diritto».
«E poi: non cambiamo le carte in tavola. Chi è stato (ingiustamente) accusato di avere violato la legge, addirittura ledendo le prerogative della più alta carica dello Stato, sono i magistrati della Procura di Palermo, non i giudici della Consulta. E chi ha sollevato il conflitto fra poteri, accendendo il fuoco delle polemiche che ne è conseguito e si è propagato, non è stata certamente la Procura di Palermo…», ha denunciato Ingroia.
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«Apro oggi un blog da quaggiù, in Guatemala, terra difficile ed assai lontana dal Paese cui ho dedicato la mia vita, per una semplice ragione. Sento l’esigenza di far sentire la mia voce. Anche per non darla vinta a quelli che pensavano di essersi liberati di me col mio trasferimento in America Centrale…», ha spiegato Ingroia in qualcosa di molto simile a un manifesto politico.
Nel suo primo post l’ex pm illustra perché si sente un partigiano: «Io sono stato ed ancora mi sento, anche se nel diverso ruolo di funzionario dell’Onu, magistrato indipendente, ma rispetto ai valori non sono neutrale. Sarò sempre dalla parte dei principi di giustizia e di eguaglianza. Partigiano in nome del diritto. Ed il diritto è il regno del giusto, non dell’opportuno». Infine, «in terzo luogo, perché mi sento partigiano della Costituzione, come ho più volte rivendicato pubblicamente. Dalla parte della Costituzione, dei suoi principi fondamentali e dei suoi valori fondanti».
Quanto alla sentenza della Consulta, «quale miglior modo – ha sottolineato Ingroia – per aprire questa mia rubrica da ‘partigiano della Costituzione’, quale miglior modo per ricordare la mia fedeltà alla Costituzione, che spiegando la mia critica, anche aspra, nei confronti della recente decisione con la quale la Corte Costituzionale, custode della Costituzione, ha dato ragione al Presidente Napolitano nel conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo? C’è chi si meraviglia, autorevoli esponenti delle istituzioni e perfino la magistratura associata. Perché – dicono – la Corte Costituzionale non si tocca, non può essere criticata. Mi chiedo dove sta scritto».
«Il diritto di critica deve poter essere liberamente esercitato nei confronti di chiunque e di qualunque istituzione. Guai – ha sottolineato Ingroia- se non si consentisse il legittimo diritto di critica nei confronti di qualsivoglia provvedimento giudiziario, compresi quelli della Corte Costituzionale. Altra cosa, ovviamente, sono le invettive e gli insulti delegittimanti spesso piovuti addosso alle magistrature di ogni ordine e grado. Ma non confondiamo le due cose. Perché, altrimenti, si corre il rischio che il cliché dell’invettiva berlusconiana contro i provvedimenti giudiziari a lui non congeniali venga equiparato con ogni forma legittima di esercizio del diritto di critica, a discapito della libertà di espressione. Guai a trarre dall’abuso del diritto argomenti per limitare l’esercizio legittimo del diritto».
«E poi: non cambiamo le carte in tavola. Chi è stato (ingiustamente) accusato di avere violato la legge, addirittura ledendo le prerogative della più alta carica dello Stato, sono i magistrati della Procura di Palermo, non i giudici della Consulta. E chi ha sollevato il conflitto fra poteri, accendendo il fuoco delle polemiche che ne è conseguito e si è propagato, non è stata certamente la Procura di Palermo…», ha denunciato Ingroia.
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