ROMA-Il titolo a tutta pagina del Sole24 Ore, il quotidiano della Confindustria, era di primo mattino: “Irpef locale subito sbloccata”. Era lì, stampato e per nulla nascosto. Titolo e notizia “oggettivi”, fatto e non opinione. Ma per tutta la giornata che seguirà nessuna forza politica si incaricherà di “tradurlo” alla pubblica opinione, alla gente. Anzi governo e maggioranza, opposizione e “forze sociali” se ne guarderanno bene dal tradurre e spiegare. Parleranno volentieri d’altro. Del voto su Bondi, della mozione di sfiducia al ministro della Cultura che, crollatagli Pompei sui piedi, prima disse che non era colpa sua perché non c’erano i soldi per tenere in piedi Pompei, poi disse che i soldi c’erano e così confessò non la sua “colpevolezza” ma la sua inutilità: che ci sta a fare un ministro della Cultura se la gestione e l’utilizzo dei soldi che ci sono non è sua competenza e responsabilità? Si vota su Bondi, anzi no. Magari si votasse su Bondi. Si vota alla Camera per vedere se Berlusconi ha la stessa maggioranza del 14 dicembre oppure è cresciuta o diminuita, si vota per testare, direbbe Bossi, chi “ce l’ha più duro”. Già che c’erano quelli della maggioranza hanno impegnato parte della giornata a vedere se potevano tirare un calcio a Fini e se potevano infilare nel dibattito in aula qualche parola, scritta e pronunciata, di sfiducia al presidente della Camera. Non sono forse in arrivo, stanno arrivando ormai da 48 ore, le “carte” sul cognato? Giornata piena anche per l’opposizione: c’era da registrare e sottolineare la prepotenza televisiva, un misto di maleducazione civile e politica condito con conclamata crisi di nervi, del premier che telefona qua e là in tv e a chi gli risponde e gli offre la diretta dice: ” Siete dei disgustosi postriboli televisivi”. Insomma c’era da fare anche per l’opposizione e la giornata se ne è andata così: piena di reciproci sdegni.
E quella “Irpef sbloccata”? Silenzio. Silenzio prudente. Silenzio cauto. Silenzio omertoso. Perché nessuno ha interesse a tradurre e spiegare il titolo e la notizia. Che si riassumono così: alla nascita, così come sta nascendo, il federalismo fiscale porterà nuove tasse. E’ matematico e in fondo pure confesso. I Comuni oggi e domani le Regioni se vogliono, in regime di federalismo fiscale, mantenere lo stesso livello di spesa pubblica, sia essa spesa per essenziali servizi sociali o spesa politica, clientelare e di “assistenza” alle corporazioni di “territorio”, devono trovare soldi. Infatti lo Stato centrale non pagherà più a “piè di lista” le spese. Girerà ai Comuni e poi alle Regioni una parte delle tasse centralmente incassate. Ad alcune, poche, Regioni ricche e ad alcune, pochissime, Regioni ben amministrate potrebbe bastare. Alla maggioranza delle Regioni e alla grandissima maggioranza dei Comuni non basterà. Quindi i governi locali si battono, con successo, per avere la possibilità di introdurre nuove tasse, appunto e ad esempio le addizionali Irpef, appunto fino ad oggi “bloccate” e da domani “sbloccate”.
Ma perchè sono tutti omertosi? La Lega: non vuol dare nessuna evidenza e pubblicità al fatto che questo sia il prezzo fiscale, letteralmente la “tassa” per averlo subito il federalismo. Il Pd che della spesa pubblica locale è maestro di teoria e pratica e che su questo fonda buona parte della sua “costituzione materiale”. Udc e Fli che fiancheggiano le amministrazioni locali in deficit, soprattutto quelle del Sud. Vendola per cui la spesa pubblica è “variabile indipendente”, anzi è la leva che scalza il mondo della globalizzazione e la levatrice del nuovo mondo. E il Pdl i cui governi nazionali hanno sempre aumentato la spesa pubblica corrente e i cui Governatori, sindaci e Giunte spendono, anzi spartiscono da campioni. Recita, anzi recitava il primo comandamento del federalismo fiscale: “Garanzia dei servizi in regime di invarianza fiscale”. Cioè gli stessi servizi sociali senza aumentare le tasse. Ma questo è matematicamente impossibile se il Nord deve “guadagnarci” dal federalismo e il resto d’Italia non deve “soffrire” alcun cambiamento. Quindi il primo comandamento è stato tradotto in: “Garanzia della spesa in regime di aggiustamento fiscale”. Cioè più tasse a livello locale, almeno per i primi tre anni, almeno fino a che il sistema non si aggiusta e i governi locali non imparano a spendere meno e meglio. Potrebbe perfino essere inevitabile, potrebbe perfino essere il prezzo giusto del federalismo, quello che verrà e non quello che viene. Ma avessero almeno il coraggio e l’onestà di dirlo che il federalismo costa ai contribuenti un biglietto di ingresso.
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Fonte: Blitzquotidiano.it
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Ma perchè sono tutti omertosi? La Lega: non vuol dare nessuna evidenza e pubblicità al fatto che questo sia il prezzo fiscale, letteralmente la “tassa” per averlo subito il federalismo. Il Pd che della spesa pubblica locale è maestro di teoria e pratica e che su questo fonda buona parte della sua “costituzione materiale”. Udc e Fli che fiancheggiano le amministrazioni locali in deficit, soprattutto quelle del Sud. Vendola per cui la spesa pubblica è “variabile indipendente”, anzi è la leva che scalza il mondo della globalizzazione e la levatrice del nuovo mondo. E il Pdl i cui governi nazionali hanno sempre aumentato la spesa pubblica corrente e i cui Governatori, sindaci e Giunte spendono, anzi spartiscono da campioni. Recita, anzi recitava il primo comandamento del federalismo fiscale: “Garanzia dei servizi in regime di invarianza fiscale”. Cioè gli stessi servizi sociali senza aumentare le tasse. Ma questo è matematicamente impossibile se il Nord deve “guadagnarci” dal federalismo e il resto d’Italia non deve “soffrire” alcun cambiamento. Quindi il primo comandamento è stato tradotto in: “Garanzia della spesa in regime di aggiustamento fiscale”. Cioè più tasse a livello locale, almeno per i primi tre anni, almeno fino a che il sistema non si aggiusta e i governi locali non imparano a spendere meno e meglio. Potrebbe perfino essere inevitabile, potrebbe perfino essere il prezzo giusto del federalismo, quello che verrà e non quello che viene. Ma avessero almeno il coraggio e l’onestà di dirlo che il federalismo costa ai contribuenti un biglietto di ingresso.
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