Circola un documentario, in Europa ma non in Italia, intitolato Comprare, buttare, comprare. La storia segreta dell’obsolescenza programmata. Lo ha girato Cosima Dannoritzer. L’obsolescenza programmata è il deliberato accorciamento della vita di un prodotto al fine di incrementarne il consumo. Una storia affascinante e tragica che inizia nel 1920, con un cartello creato per limitare la vita delle lampadine elettriche, e finisce per ora agli IPod. Una pratica imprenditoriale che è diventata la base dell’economia moderna: l’economia del consumo. I tempi di mortalità degli oggetti sono sempre più brevi, la loro sostituzione inevitabile. Riparare oggetti rotti è sempre meno conveniente, in certi casi impossibile: bisogna ricomprarne di nuovi. Più moderni, apparentemente meno costosi, assai più deperibili. Vale per i materassi come per i frigoriferi. In genere, naturalmente, erano meglio i vecchi: i vecchi materassi e i vecchi frigoriferi, quelli che duravano una vita. I tecnici e gli artigiani della loro manutenzione non esistono più, con loro se ne sono andate anche le parole per dirlo. Sprimacciare, per esempio, è un verbo scomparso.
Erano migliori perché la qualità degli oggetti era costituita in gran parte dalla loro costanza di rendimento. Si tramandavano di casa in casa, di generazione in generazione. Con loro si tramandava l’enorme cura, persino l’affetto alle volte, che gli umani dovevano alle cose nelle quali si incarnava una tradizione, un ricordo, una vicenda familiare. Anche solo semplicemente l’attenzione e la premura verso gli oggetti: non romperli, custodirli con metodo, mettere in moto la macchina una volta al giorno anche se non si usava, assumere su di sé una responsabilità. La responsabilità di avere qualcosa in consegna dai padri e destinarla ai figli. Più o meno, anche quando qualcosa in corso d’opera si sostituiva – una casa più piccola in città con i proventi della casa più grande in campagna o in periferia, per esempio – il principio era quello: far fruttare il patrimonio avuto in dote.
Pensavo, vedendo il documentario, che quel principio si è smarrito per le cose come per le persone. Che la fragilità del successo, la mortalità precoce e l’indifferenza alla sostituzione di un volto con un altro, un nome con un altro, l’accelerazione del consumo vale anche per gli uomini e le donne. Siano star della musica sex symbol o candidati leader. Avanti un altro. Dipende dal fatto che il cadere del senso di responsabilità individuale nelle scelte collettive ci lascia tutti in balia degli eventi che sembrano arrivare dall’esterno, come per una specie di ineluttabile avvicendarsi di stagioni alle quali si assiste osservandole, criticandole, lamentandosene, mai determinandole. Spettatori, non protagonisti.
E’ stato, anche questo, un programma attuato con metodo e costanza: l’obsolescenza programmata dello spirito critico, il disinnesco del principio di autodeterminazione, lo smarrimento del senso primitivo della delega. Le conseguenze sono attorno a noi, dentro di noi.
Avrei dovuto parlarvi dell’anno che è appena passato. Degli operai sulle gru, del sindaco di Pollica, di Ruby e Scilipoti. Del sistema Verdini o di quello Lele Mora. Di quel ragazzo su tre che non trova lavoro, di quella donna su due che nemmeno lo cerca. Di quell’italiano su dieci che detiene la metà della nostra ricchezza, come si studiava una volta nei sussidiari a proposito del Terzo Mondo. Dei ghigni e delle urla in tv, Nostra Signora del Regno, e di quei ragazzi che sfilano per strada portando come scudi le copertine dei libri, per loro e per nostra fortuna. Non lo farò, son cose che sapete: le avete viste succedere nelle vostre vite. Meno che mai parlerò oggi del grande corruttore. Verrà un giorno in cui tutto questo sarà storia, tre o quattro paragrafi in un libro con le note a piè di pagina. Il tempo farà ragione dei meriti e dei demeriti, come sempre.
Voglio invece dirvi perché abbiamo deciso di affidare il racconto di quest’anno, nel supplemento di fine anno e nel nostro calendario per il 2011, alle fiabe. Abbiamo cominciato due anni fa a rinominare le parole da capo per restituire loro il senso, ricordate? L’almanacco del popolo: una parola al giorno. Abbiamo ripreso in mano i numeri e i colori, come si deve fare dopo una lunga ipnosi, una malattia: sedia, questa è una sedia. Democrazia, questa è la democrazia. Tempo, ecco cos’è il tempo. Nelle fiabe che ciascuno di noi ha ascoltato da bambino c’è l’origine della trama di valori che ci consente di vivere insieme: il bene, il male, le loro conseguenze.
Fabio Magnasciutti, Lorenzo Terranera e Manginobrioches, tre ragazzi di quelli a cui il talento non garantisce il futuro, hanno illustrato e scritto attraverso le favole quello che vorremmo lasciarci alle spalle e quello che speriamo per domani. Tutti lo capiranno, anche i bambini. E come si sa, la differenza fra le storie per bambini e le storie per adulti è che le prime sono per tutti, le seconde sono per alcuni.
Affidiamoci ai ragazzi, consegniamo loro quel che possiamo, proviamo a stupirci di nuovo anche noi. A indignarci a sorridere, e ripartiamo da qui. Ci vorrà tempo ma è un metodo sicuro, e che il 2011 sia il primo anno del nostro nuovo tempo. Del loro tempo, e del nostro.
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Fonte: Unita.it
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Erano migliori perché la qualità degli oggetti era costituita in gran parte dalla loro costanza di rendimento. Si tramandavano di casa in casa, di generazione in generazione. Con loro si tramandava l’enorme cura, persino l’affetto alle volte, che gli umani dovevano alle cose nelle quali si incarnava una tradizione, un ricordo, una vicenda familiare. Anche solo semplicemente l’attenzione e la premura verso gli oggetti: non romperli, custodirli con metodo, mettere in moto la macchina una volta al giorno anche se non si usava, assumere su di sé una responsabilità. La responsabilità di avere qualcosa in consegna dai padri e destinarla ai figli. Più o meno, anche quando qualcosa in corso d’opera si sostituiva – una casa più piccola in città con i proventi della casa più grande in campagna o in periferia, per esempio – il principio era quello: far fruttare il patrimonio avuto in dote.
Pensavo, vedendo il documentario, che quel principio si è smarrito per le cose come per le persone. Che la fragilità del successo, la mortalità precoce e l’indifferenza alla sostituzione di un volto con un altro, un nome con un altro, l’accelerazione del consumo vale anche per gli uomini e le donne. Siano star della musica sex symbol o candidati leader. Avanti un altro. Dipende dal fatto che il cadere del senso di responsabilità individuale nelle scelte collettive ci lascia tutti in balia degli eventi che sembrano arrivare dall’esterno, come per una specie di ineluttabile avvicendarsi di stagioni alle quali si assiste osservandole, criticandole, lamentandosene, mai determinandole. Spettatori, non protagonisti.
E’ stato, anche questo, un programma attuato con metodo e costanza: l’obsolescenza programmata dello spirito critico, il disinnesco del principio di autodeterminazione, lo smarrimento del senso primitivo della delega. Le conseguenze sono attorno a noi, dentro di noi.
Avrei dovuto parlarvi dell’anno che è appena passato. Degli operai sulle gru, del sindaco di Pollica, di Ruby e Scilipoti. Del sistema Verdini o di quello Lele Mora. Di quel ragazzo su tre che non trova lavoro, di quella donna su due che nemmeno lo cerca. Di quell’italiano su dieci che detiene la metà della nostra ricchezza, come si studiava una volta nei sussidiari a proposito del Terzo Mondo. Dei ghigni e delle urla in tv, Nostra Signora del Regno, e di quei ragazzi che sfilano per strada portando come scudi le copertine dei libri, per loro e per nostra fortuna. Non lo farò, son cose che sapete: le avete viste succedere nelle vostre vite. Meno che mai parlerò oggi del grande corruttore. Verrà un giorno in cui tutto questo sarà storia, tre o quattro paragrafi in un libro con le note a piè di pagina. Il tempo farà ragione dei meriti e dei demeriti, come sempre.
Voglio invece dirvi perché abbiamo deciso di affidare il racconto di quest’anno, nel supplemento di fine anno e nel nostro calendario per il 2011, alle fiabe. Abbiamo cominciato due anni fa a rinominare le parole da capo per restituire loro il senso, ricordate? L’almanacco del popolo: una parola al giorno. Abbiamo ripreso in mano i numeri e i colori, come si deve fare dopo una lunga ipnosi, una malattia: sedia, questa è una sedia. Democrazia, questa è la democrazia. Tempo, ecco cos’è il tempo. Nelle fiabe che ciascuno di noi ha ascoltato da bambino c’è l’origine della trama di valori che ci consente di vivere insieme: il bene, il male, le loro conseguenze.
Fabio Magnasciutti, Lorenzo Terranera e Manginobrioches, tre ragazzi di quelli a cui il talento non garantisce il futuro, hanno illustrato e scritto attraverso le favole quello che vorremmo lasciarci alle spalle e quello che speriamo per domani. Tutti lo capiranno, anche i bambini. E come si sa, la differenza fra le storie per bambini e le storie per adulti è che le prime sono per tutti, le seconde sono per alcuni.
Affidiamoci ai ragazzi, consegniamo loro quel che possiamo, proviamo a stupirci di nuovo anche noi. A indignarci a sorridere, e ripartiamo da qui. Ci vorrà tempo ma è un metodo sicuro, e che il 2011 sia il primo anno del nostro nuovo tempo. Del loro tempo, e del nostro.
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Fonte: Unita.it
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