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A che prezzo


La sfortunata circostanza che il voto di fiducia sia palese e non segreto è la ragione che anima questi giorni di vigilia di surreali conferenze stampa. Persone che hanno pochissimo o nulla in comune (poniamo: un facoltoso imprenditore e un indebitato padre di famiglia, di partiti diversi) si danno manforte per giustificare in via preventiva le ragioni della loro imprevista adesione, diretta o indiretta, al credo del magnate. Vette sublimi le raggiunge, per scritto, il dipietrista Antonio Razzi che in una similitudine alata confonde Pietro Micca con Enrico Toti, addebita a Di Pietro la malattia della moglie («si è ammalata a causa delle mortificazioni inflittemi dal tuo comportamento») e di passaggio fa vanto di averne avuta solo una, di moglie, circostanza che col voto di fiducia non sembrerebbe aver nulla a che fare ma che in effetti è specie in quell’ambiente una rarità, dunque perchè non elencarla. Razzi e Scilipoti sono i due parlamentari Idv in procinto di votare la fiducia a Berlusconi perchè, dicono, non sufficientemente valorizzati dal loro leader. Dovranno, seppure in articulo mortis, riconoscergli tuttavia il merito di averli messi in lista e fatti eleggere, visto che non sono stati certo i cittadini a sceglierli. Sempre più, come diciamo da mesi raccogliendo firme perchè accada, si sente il bisogno che almeno l’opposizione attivi il meccanismo delle primarie di collegio: siano gli elettori a decidere chi mettere in lista per Camera e Senato. Calearo, ex Pd, ha messo nero su bianco il prezzario della compravendita: da 350 mila a mezzo milione di euro. Sembra poco, alla luce delle disponibilità del magnate. Se uno deve vendersi si garantisca almeno un vitalizio. Un impiego per i figli, come fanno i dipendenti di Alemanno, un posto fisso in Campidoglio per le prime mogli alle quali smettere così di pagare gli alimenti. Poco, sì, ma comunque abbastanza per un esposto alla procura della Repubblica. Gli estremi di reato, dice Gianrico Carofiglio, ci sono tutti: forse Calearo l’ha già fatto e non ce lo dice per pudore, aggiunge.

Vorrei porre un’altra questione di principio. Capisco che nel disastro di corruzione generale - da Tanzi alle assunzioni del sindaco di Roma al mercato parlamentare, il catalogo è questo - possa sembrare un dettaglio ma nei particolari si annida lo spirito del tempo. Tra i deputati che il 14 potrebbero essere assenti ci sono tre parlamentari in maternità. Federica Mogherini partorisce il 13. Giulia Bongiorno e Giulia Cosenza hanno gravidanze a rischio. I regolamenti della Camera non prevedono la maternità come condizione specifica: è equiparata alla malattia, cosa che evidentemente non è. Dunque le assenze di chi si trova in sala parto sono assenze per malattia e abbassano il quorum, incidono sull’esito del voto a differenza, per esempio, delle assenze per missione. Chi si trova a un convegno sta lavorando per la società, chi partorisce un figlio no. Dite se vi sembra sensato: lo dica la ministra Carfagna. Sono pari le opportunità? È pari la considerazione e il rispetto? Tra l’altro il voto è elettronico, l’identificazione avviene attraverso le impronte digitali. Non vedo cosa impedisca a chi non può muoversi di votare da casa, con le opportune misure di sicurezza. O dall’ospedale. Persino dalla sala parto, un minuto dopo aver felicemente dato alla luce un nuovo cittadino.

Fonte: Unita.it

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2 commenti to " A che prezzo "

  1. io sono sempre dl parere che se faranno una nuova legge elettorale, chi lascia il partito per cui la gente ha votato deve uscire dal parlamento ed essere sostituito

  2. Anonimo says:

    Al parlamento dove ti ci ha messo il partito , o ci stai , oppure no. Chi viene eletto in un partito e lo cambia durante il suo mandato ,deve andare via anche dal parlamento , deve andare a casa senza trincerarsi dietro a scusanti !!!!Nel modo palese del prossimo 14 chi si trova in tali condizioni , A CASA DI GRAN VOLATA SENZA SE E SENZA MA !!!!!!

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