La dialettica fra presunti moderati e presunti estremisti non c’entra nulla: a noi interessa la qualità dell’informazione Rai
Quando passa da Milano, cerco di non perdermi gli appuntamenti con Bruno Vespa, un giornalista che non apprezzo particolarmente. Nei giorni scorsi ho avuto con lui un paio di vivaci dialoghi, che hanno avuto uno strascico sul Corriere della Sera. Questa è la lettera di Vespa. Di seguito la mia replica. Ringrazio il direttore Ferruccio de Bortoli, per l'equità di trattamento.
Sul "Corriere" del 7 dicembre, a pag. 15, Bruno Vespa ha impiegato 75 righe per dire in sostanza due cose: 1 a Milano io e un gruppo di amici l'avremmo pesantemente insultato 2 quest'episodio sarebbe sintomatico di un "clima" volto a costringere al "lazzaretto degli appestati" i giornalisti "moderati" come lui. Proprio un bel concentrato di mistificazione e vittimismo, due specialità della cultura berlusconiana. Rimettiamo le cose in ordine. La dialettica fra presunti moderati e presunti estremisti non c'entra nulla: a noi interessa la qualità dell'informazione Rai, un bene pubblico, (e per lo stesso motivo invochiamo anche una legge antitrust nel mercato tv e una sul conflitto d'interessi), non le opinioni politiche del cittadino Vespa.
La cronaca dei fatti, poi, è distorta: i poliziotti inutilmente allertati, ad esempio, non erano "due", ma almeno sei e in seconda battuta ancora di più. Non c'è stato alcun problema di sicurezza. La libreria era tutt'altro che "affollatissima", essendo presenti poche persone, che nessuno ha spaventato, in buona parte disinteressate o concordi con noi. E così via. Ma soprattutto Vespa non può cavarsela liquidando come "insulti" le nostre critiche: legittime, documentate, condivise da moltissimi italiani. E registrate a futura memoria sul nastro di una telecamerina digitale. Il trucco è vecchio, spesso incanta gonzi e perbenisti, ma rimane un espediente da codardi.
E' vero: come altre volte in passato (e come farò ogni volta che vorrò esercitare il mio diritto di critica verso gli esponenti dell'oligarchia nazionale), nei giorni scorsi, a Milano, città dove Vespa è ben noto fin dai tempi di Valpreda (dicembre 1969), ho colto l'occasione di due appuntamenti pubblici per interpellare in modo non reverenziale il nostro inviato a Cogne: la prima, al Circolo della Stampa, la seconda alla libreria Mondadori di piazza Duomo. Al Circolo della Stampa gli ho chiesto conto del contributo da lui abilmente fornito alla campagna governativa di criminalizzazione del dissenso, che ha avuto il suo momento culminante durante la gestione mediatica del "caso Tartaglia" (ricordate? "partito dell'odio", "mandanti morali"), con uno sgradevole risvolto che mi ha riguardato personalmente.
Alla libreria Mondadori, poi, abbiamo ricordato, a voce e sui nostri piccoli cartelli colorati, altri fatti. Eccone alcuni: a l'occupazione del palinsesto da parte di Vespa per quattro sere alla settimana più gli extra: anomalia antitetica al pluralismo b) la pubblicità gratuita dei suoi libri su tutte le reti radio-televisive del servizio pubblico: inaccettabile privilegio c) la gestione mediatica filogovernativa del post terremoto all'Aquila d) l'abitudine dichiarata di cucire trasmissioni su misura addosso agli ospiti vip: vedi la famosa telefonata intercettata con l'allora segretario di Fini: incompatibile con un'idea sana di giornalismo e) l'abitudine, altrettanto malata e conclamata, di non dedicare trasmissioni a scandali sgraditi a quello che dal 1993 è il suo nuovo (moderatissimo, come ognun sa) "azionista di riferimento" e alla sua Cricca, ora scricchiolante - e questo forse preoccupa il notaio del "Contratto con gli italiani" nonché editorialista di Panorama f) la capacità di distrarre l'attenzione dai fatti e dalle voci scomode attraverso un uso sapiente del gossip e dell'intrattenimento g) l'accanimento nella pornografia del dolore e dell'orrore, da Cogne ad Avetrana e oltre.
I miei amici e io, in quanto cittadini italiani, ci sentiamo quotidianamente insultati da chi usa in questo modo, traendone ingenti profitti in termini di denaro e di potere, le strutture dell'azienda che - ricordiamolo ancora - appartiene allo Stato, cioé alla collettività, non al governo e ai suoi propagandisti. Ecco dove nasce il nostro sdegno: chi ha conservato uno sguardo morale sulla realtà vede che si tratta di una forma di legittima difesa. Altro che peste! L'unico contagio che ci interessa, cari lettori, è la sconfitta dell'assuefazione. Su la testa!
Fonte: Voglioscendere.it
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ho visto il video. per quanto mi trovi perfettamente d'accordo con ricca, trovo il tutto deprimente. sono deprimenti le modalità. sono deprimenti i risultati, alla fin fine il servo si fa sentire da...lla pagine del corriere della sera che ha molti più lettori di qualunque altro mezzo a disposizione della controinformazione.forse protestare strillando meno sarebbe più utile.ripetere a martello le stesse cose,mi spiace,ma mi ricorda molto quello che fanno i fascisti nelle varie trasmissioni in tv (fitto and co.).
io credo nel valore della parola, come mezzo di comunicazione. ripetere un mantra strillando annulla la comunicazione e avvia la barbarie. bisognerebbe rendersene conto tutti, almeno a sinistra. non basta avere ragione. i modi contano tanto quanto i contenuti.