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Bossi: "Ci parlo io con Fini" L'obiettivo è galleggiare ancora un mese


ROMA - Di Fini e di Casini non si fidano, «il gatto e la volpe» li chiamano Berlusconi e Bossi. Perciò è praticamente impossibile che il Cavaliere e il Senatur scendano davvero a compromesso con il presidente della Camera e il leader dei centristi. Ma è utile alla causa mostrarsi oggi disponibili al confronto, serve a scongiurare un'immediata crisi di governo, a prender tempo perché la strategia che hanno stabilito possa risultare vincente. Devono resistere fino a dicembre, è questo il patto che hanno sottoscritto nel reciproco interesse: e non solo perché per quella data Berlusconi attende la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento e Bossi conta di ottenere l'ultimo decreto sul federalismo.

Il timing va rispettato soprattutto se «Silvio» e «Umberto» vogliono evitare di soccombere ai loro avversari, dediti a quello che il Guardasigilli Alfano definisce «il gioco di Palazzo, la nascita cioè del cosiddetto governo tecnico, o del presidente, o di transizione, o di scopo, o di responsabilità nazionale. Tanti nomi per evitare che venga usato quello vero: il governo del ribaltone». Per ogni definizione c'è un candidato, Draghi e Monti sono i più citati tra i dirigenti del centrodestra, che ne parlano come a voler esorcizzare l'eventualità, confidando nel ruolo di Napolitano.

Intanto devono resistere Berlusconi e Bossi, che ieri si è inventato il ruolo di «esploratore» alla bisogna, e per sondare Fini ha mandato in avanscoperta Maroni, lo stesso che due settimane fa - al Federale della Lega - aveva indicato ai colleghi di partito la data più probabile delle elezioni nella prossima primavera: «La settimana dopo la pasqua ebraica», che cade nella seconda decade di aprile. È vero che il Senatur era parso frenare sul ricorso alle urne, giorni fa, vigilia della convention dei finiani. «Questo non è il momento di andare al voto. Sarebbe sbagliatissimo», aveva lasciato filtrare in via confidenziale, per poi dire in pubblico: «Berlusconi e Fini si devono vedere». Voleva vedere l'effetto che la mossa avrebbe fatto sul presidente della Camera e anche sul presidente del Consiglio, al quale chiedeva di accelerare i tempi sul federalismo.

Incassate la rassicurazioni sulla riforma che gli sta a cuore, è scontato immaginare che Bossi starà al fianco del Cavaliere, e non accederà alla richiesta di Fini, l'apertura cioè della crisi per arrivare a un Berlusconi bis con l'ingresso dell'Udc nel governo. A parte i rischi che la trattativa porta con sé, è evidente che un simile accordo non potrebbe limitarsi al solo organigramma del nuovo esecutivo e al suo programma, ma conterrebbe le clausole sugli assetti futuri dell'alleanza: dal prossimo candidato premier, al prossimo candidato al Colle. Nel primo caso certamente non sarebbe Berlusconi. Nel secondo caso quasi certamente non sarebbe Berlusconi. Ed è chiaro a chi non starebbe bene un simile patto.

Ecco su cosa hanno davvero rotto il Cavaliere e Fini. E se un'intesa del genere non è stata chiusa in un anno e passa di trattative tra il premier e il presidente della Camera, è pensabile che venga chiusa adesso in una settimana? Per quanto Berlusconi e Bossi abbiano nel loro orizzonte le elezioni, il timing va rispettato, e al momento devono fronteggiare il pressing del presidente della Camera che è pronto a ritirare la delegazione del Fli dal governo se non riceverà subito risposta alla sua proposta. Il premier però non può muoversi, non adesso, sebbene a sua volta minacci di chiedere a Ronchi le dimissioni in una prossima riunione del Consiglio dei ministri. Ma la crisi al momento non va formalizzata in Parlamento, dove Casini dice che «Pisanu si metterà alla testa di un pezzo del Pdl» se il Cavaliere deciderà di andare alle elezioni. In realtà il governo non esiste più, alla Camera non ha maggioranza nelle commissioni. E se la legge di Stabilità non verrà toccata, è perché Napolitano si è pubblicamente premurato di «coprirla», per evitare i gravi riflessi che una bocciatura del provvedimento finanziario provocherebbe sui mercati.

Resistere, resistere, resistere: è questo oggi il motto di Berlusconi e Bossi, in attesa di dicembre. Non è dato sapere come andrà a finire la sfida della crisi, anche se il premier avrebbe rassicurato il capo della Lega su un nutrito gruppo di parlamentari dell'opposizione che al momento opportuno verrebbe in loro soccorso. Ma dopo quello che successe mesi fa, il Senatur a questa sorta di «gladio berlusconiana» crede poco.

Fonte: Corriere.it

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