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Il Veneto allagato, ma per i fiumi si tagliano i fondi


Nel Veneto delle migliaia di sfollati nelle province di Verona e Padova, della città di Vicenza allagata, dei 121 comuni gravemente colpiti dagli straripamenti, di un disperso a Caldogno per la piena del Bacchiglione, delle frane nel trevigiano e delle strade interrotte, si sono permessi lo stravagante lusso di tagliare perfino i fondi per la manutenzione ordinaria di fiumi e canali. E lo hanno fatto concentrando le sforbiciate proprio nelle zone ora più in sofferenza, Padova e Vicenza. Da un momento all’altro, di colpo, hanno cancellato circa 15 milioni di euro sui 100 impegnati di solito per ripulire i fossi, tenere in efficienza le casse di espansione, consolidare gli argini e riparare paratie e idrovore. E’ stata una decisione ponderata, presa addirittura con una legge, la numero 12 articolo 37, approvata dalla giunta uscente di Giancarlo Galan e sostenuta dalla stessa maggioranza di centrodestra che ora appoggia il leghista Luca Zaia.

L’intenzione dichiarata era quella di sgravare i cittadini da una tassa, i contributi che i proprietari di immobili fino a quel momento erano tenuti a versare ai Consorzi di bonifica per pagare lo smaltimento delle acque “meteoriche”, cioè le piogge. Al posto dei cittadini, a tirar fuori i soldi sarebbero stati i gestori dei servizi idrici integrati, per esempio le società degli acquedotti. Ma fino a questo momento non hanno versato nemmeno un euro e alla voce manutenzione idrogeologica nei mesi passati sono mancati, appunto, 15 milioni. Con questi quattrini si sarebbero evitati i disastri di questi giorni? Probabilmente no, ma forse i danni sarebbero stati più contenuti.

Di fronte all’esito disastroso delle scelte della giunta veneta, ora pare che tutti, maggioranza e opposizione, vogliano innestare una rapida marcia indietro, approvando un secondo provvedimento a correzione del precedente. Ma intanto il danno è fatto. E mentre il Veneto vive uno dei momenti più dolorosi della sua storia recente, nessuno è ancora in grado di assicurare se alla fine la manutenzione ordinaria sarà rifinanziata davvero e per intero e soprattutto se saranno attuati gli interventi strutturali di prevenzione su cui a parole nei momenti di emergenza tutti concordano, ma che di solito vengono speditamente riposti nei cassetti appena rispunta il primo raggio di sole.

L’Unione dei Consorzi veneti di bonifica, che con i suoi circa 1.300 dipendenti, in prevalenza operai, è uno dei pochi organismi che fa qualcosa per impedire il peggio curando come può i 6 mila chilometri di canali della regione, ha calcolato che ci vorrebbero circa 750 milioni di euro per ridare sicurezza agli abitanti. Ma il presidente nazionale dell’associazione, Massimo Gargano, da mesi non riesce neppure ad accennare questi programmi al ministro, Stefania Prestigiacomo, da cui non è stato mai ricevuto. E neppure riesce a discutere con un delegato tecnico, magari un direttore generale.

Al ministero non esiste più neanche una direzione specifica per la Difesa del suolo, è stata soppressa ed accorpata a quella per l’Inquinamento. Fonti ufficiali dicono che la decisione è stata presa nell’ambito di una riorganizzazione complessiva degli uffici che prevedeva la riduzione delle direzioni da 6 a 5, con l’obiettivo di risparmiare. Di fatto, però, in seguito a queste modifiche, i soggetti che dovrebbero avere scambi ripetuti e continui con gli uffici ministeriali sui temi dell’ambiente non trovano più nessuna porta aperta. La faccenda è tanto più anomala perché capita proprio nel momento in cui almeno sulla carta sarebbero disponibili i primi finanziamenti per gli interventi più urgenti, circa 1 miliardo e 200 milioni di euro dei Fas, i fondi per le aree sottoutilizzate, soldi in parte nazionali, ma soprattutto di provenienza comunitaria, da utilizzare con programmi concordati con le Regioni, i comuni e i Consorzi di bonifica.

Intanto, mentre le prime piogge autunnali portano lutti e disastri, circolano previsioni da brivido per i prossimi mesi ed anni. Il presidente del Consiglio dei geologi, Antonio De Paola, in un voluminoso rapporto sullo stato del territorio redatto alcune settimane fa in collaborazione con il Cresme, il centro di ricerche economiche per l’edilizia, elaborando i dati Istat ha previsto che da ora al 2020 crescerà in maniera massiccia la popolazione nelle zone ad alto rischio sismico ed idrogeologico, circa 700 mila persone in più, in prevalenza immigrati, e metà si insedieranno proprio nel Nordest.

Alla domanda se l’evento è ineluttabile o se al contrario sarebbe possibile impedire che queste previsioni nefaste si avverino, risponde sconsolato che le leggi ci sarebbero e anche severe, ma nessuno, a cominciare dalla maggioranza dei sindaci, ha la minima intenzione di farle rispettare. Grazie alla disinvolta disattenzione delle autorità locali negli ultimi 15 anni è stato costruito ed asfaltato un pezzo d’Italia grande quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme. Senza contare la marmellata delle case abusive spalmata su tutto il territorio nazionale.

da Il Fatto Quotidiano del 3 novembre 2010

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