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«Tutti i ciclisti si dopano Tanto vale liberalizzare»


MILANO - Così fan tutti. «Non c’è giustizia quando su cento ciclisti ce ne sono novantanove che si dopano senza subire conseguenze». Ma proprio tutti. «Ultimamente, tra i corridori che ho interrogato, tutti hanno detto che tutti si dopano». A 78 anni (79 tra due settimane), dopo una carriera da magistrato e le ultime quattro stagioni a inseguire furbi in sella alla Procura antidoping del Coni, Ettore Torri può dire (quasi) ciò che vuole. Ma la provocazione riservata all’Associated Press, l’agenzia di stampa americana che ha battuto la concorrenza di tutti i quotidiani italiani raccogliendo le confidenze del più autorevole protagonista di questo gioco a guardia e ladri, fa rumore quando Torri dice che, se non fosse dannoso per la salute, per non creare ingiustizie tra gli atleti, una possibile soluzione sarebbe legalizzare il doping. «Più mi occupo di questa materia e più mi stupisco di quanto il fenomeno sia diffuso e radicato. E temo che non sarà mai debellato perché il doping si evolve in continuazione e in giro ci sono sostanze per le quali non esiste ancora un test. Il doping continuerà ad esistere fino a quando sarà economicamente vantaggioso». Torri parla da amante tradito: la passione per la bicicletta l’ha portato a correre, domenica scorsa, una gara a Latina per forensi, dove è arrivato ultimo ipotizzando con gli amici, per scherzo ma non troppo, che tutti gli altri fossero dopati. Torri ha titolo per parlare. È lui che si è occupato dei casi di Ivan Basso, Danilo Di Luca, Alessandro Petacchi e, ultimamente, Riccardo Riccò, fermato al Tour («Senza doping è semplicemente impossibile vincerlo» ha ammesso ieri Bernhard Kohl, terzo alla Grande Boucle 2008 e poi squalificato), fidanzato con Vania Rossi (positiva e poi prosciolta) e «cognato» di Enrico Rossi, arrestato il 21 settembre scorso. È lui che ha bandito per quattro anni Elisa Basso, sorella di Ivan e moglie di Mazzoleni, colpevole di traffico di sostanze illecite. «È il cosiddetto doping di famiglia - commenta Torri -, è incredibile». Se le 50 pillole trovate in casa di Riccò la settimana scorsa dovessero comprendere prodotti vietati, il corridore emiliano rischierebbe la squalifica a vita. «Vedremo quali spiegazioni fornirà: può sempre dimostrare che erano per la nonna. C’è sempre un parente, una nonna o chissà cos’altro». Un filetto, per esempio. L’uomo che ha fatto squalificare Valverde in tutto il mondo è amareggiato, ma non stupito, dal caso Contador. «Attribuire la positività alla bistecca non basta. Deve provarlo». Nove procure indagano sul ciclismo, contemporaneamente, oggi, in Italia: Bergamo, Mantova, Como, Padova, Trento, Perugia, Lucca, Roma e una Procura sarda. Ecco perché arrivare ultimo nella corsa ciclistica dei magistrati, alla fine, è un piccolo titolo d’onore.] MILANO - Così fan tutti. «Non c'è giustizia quando su cento ciclisti ce ne sono novantanove che si dopano senza subire conseguenze». Ma proprio tutti. «Ultimamente, tra i corridori che ho interrogato, tutti hanno detto che tutti si dopano».
A 78 anni (79 tra due settimane), dopo una carriera da magistrato e le ultime quattro stagioni a inseguire furbi in sella alla Procura antidoping del Coni, Ettore Torri può dire (quasi) ciò che vuole. Ma la provocazione riservata all'Associated Press, l'agenzia di stampa americana che ha battuto la concorrenza di tutti i quotidiani italiani raccogliendo le confidenze del più autorevole protagonista di questo gioco a guardia e ladri, fa rumore quando Torri dice che, se non fosse dannoso per la salute, per non creare ingiustizie tra gli atleti, una possibile soluzione sarebbe legalizzare il doping. «Più mi occupo di questa materia e più mi stupisco di quanto il fenomeno sia diffuso e radicato. E temo che non sarà mai debellato perché il doping si evolve in continuazione e in giro ci sono sostanze per le quali non esiste ancora un test. Il doping continuerà ad esistere fino a quando sarà economicamente vantaggioso».

Torri parla da amante tradito: la passione per la bicicletta l'ha portato a correre, domenica scorsa, una gara a Latina per forensi, dove è arrivato ultimo ipotizzando con gli amici, per scherzo ma non troppo, che tutti gli altri fossero dopati. Torri ha titolo per parlare. È lui che si è occupato dei casi di Ivan Basso, Danilo Di Luca, Alessandro Petacchi e, ultimamente, Riccardo Riccò, fermato al Tour («Senza doping è semplicemente impossibile vincerlo» ha ammesso ieri Bernhard Kohl, terzo alla Grande Boucle 2008 e poi squalificato), fidanzato con Vania Rossi (positiva e poi prosciolta) e «cognato» di Enrico Rossi, arrestato il 21 settembre scorso. È lui che ha bandito per quattro anni Elisa Basso, sorella di Ivan e moglie di Mazzoleni, colpevole di traffico di sostanze illecite. «È il cosiddetto doping di famiglia - commenta Torri -, è incredibile». Se le 50 pillole trovate in casa di Riccò la settimana scorsa dovessero comprendere prodotti vietati, il corridore emiliano rischierebbe la squalifica a vita. «Vedremo quali spiegazioni fornirà: può sempre dimostrare che erano per la nonna. C'è sempre un parente, una nonna o chissà cos'altro». Un filetto, per esempio. L'uomo che ha fatto squalificare Valverde in tutto il mondo è amareggiato, ma non stupito, dal caso Contador. «Attribuire la positività alla bistecca non basta. Deve provarlo». Nove procure indagano sul ciclismo, contemporaneamente, oggi, in Italia: Bergamo, Mantova, Como, Padova, Trento, Perugia, Lucca, Roma e una Procura sarda. Ecco perché arrivare ultimo nella corsa ciclistica dei magistrati, alla fine, è un piccolo titolo d'onore.



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