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Professionisti e ricercatori, tutti in fuga dall’Italia. E adesso la Rete gli dà voce

Lo scrive il giornalista Sergio Nava nel suo ultimo libro "La fuga dei talenti". Dice: "Quello che mi fa più tristezza è che la nostra generazione è abituata a pensare: non ho avuto successo, sarà per colpa mia"


“Abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora. Una generazione rifugiatasi fuori dall’Italia ha voglia di esprimersi. Aspettava solo un cenno e adesso si sta svegliando. I grandi media ignorano ancora il fenomeno, ma grazie al web qualcosa si è messo in moto”. Dal 2007 Sergio Nava ha ascoltato decine di storie di professionisti costretti ad abbandonare un Paese dove contano le clientele, le parentele, ma non il merito, e le ha raccolte ne La Fuga dei Talenti (San Paolo 2009). Dal libro nasce il blog . Giovani professionisti che fuggono, non solo ricercatori universitari. “Scappano gli avvocati, i manager, i medici. Quelli che dovrebbero essere la nostra classe dirigente. Così l’Italia muore”.

A 35 anni Sergio Nava è un giornalista solido, parla pacatamente. Ma quando si tratta di merito che non c’è, di gerontocrazia che schiaccia i giovani professionisti, si arrabbia eccome. “Basterebbe rifarsi al caso esemplare della ragazza finita nella foto simbolo dell’articolo sul Time Magazine”. Quello di Silvia Sartori, 31 anni, dopo 4 in Cina prova a rientrare a Treviso. “Le offrono gli stessi lavori di prima a 800 euro al mese! E lei cosa poteva fare, se non andare a Shanghai?” Adesso gestisce un fondo da 3 milioni di dollari per progetti di ingegneria ecologica dell’Unione Europea.

Non si tratta di casi singoli, è un fenomeno di massa?

È quello che finalmente si inizia a capire. La risonanza internazionale lo dimostra. Ed è gravissimo vedere la tipologia delle persone che fuggono. Dai dati che sta raccogliendo Claudia Cucchiarato attraverso il suo blog il 70% sono laureati, il 20% laureati con Master, e solo il 10% non laureati. Una migrazione con caratteristiche completamente diverse da quelle tradizionali.

Cervelli in fuga?

A patto che non si pensi solo ai ricercatori. Importantissimi, certo ma una minoranza, rispetto a cui si potrebbero alzare le spalle, pensando: poveri piccoli Einstein, se ne vanno. Ma quando si svuotano le professioni, il problema tocca tutta la società civile. Il futuro del paese, la sua classe dirigente.

Segnali incoraggianti però ce ne sono?

Il web sta facendo un piccolo miracolo, e la sponda offerta dal Time lo dimostra. Non a caso fuori dall’Italia. I numeri parlano da soli. Per una settimana l’articolo Arrivederci Italia è stato uno dei più letti, il più inoltrato per email e ad oggi hanno cliccato “like” quasi 32.000 persone!

Qualcuno dirà sempre: tanto rumore per nulla.

Quello che mi fa più tristezza è che la nostra generazione è abituata a pensare: non ho avuto successo, sarà per colpa mia. Un amico mi faceva notare che questo atteggiamento inizia dalla scuola elementare: quando chiedi spiegazioni al maestro sei tu che non hai capito, non magari lui che ha spiegato male. Siamo intellettualmente subordinati.

Come Fantozzi?

Con la differenza che lui almeno il lavoro ce l’aveva. La nostra è una generazione di Fantozzi tagliati fuori dalle professioni e dal ciclo produttivo. Emigrare rimane l’unica opzione.

Non c’è il rischio che questi 20-40enni si considerino “la meglio gioventù”, l’avanguardia di chi rimane?

Guardiamo che succede a chi resta. Molti dei giovani che in Italia hanno accesso alle professioni, devono dire grazie a qualcuno per tutta la vita, come accadeva nell’antica Roma ai “liberti”, schiavi affrancati ma pur sempre schiavi, rifletteva recentemente Corrado Augias. Certo, in Italia c’è chi lavora senza essere parente, amante o “protetto di”. Ma questa è un’eccezione, la regola è diventata la raccomandazione. Non crediamo più in noi, al punto che siamo abituati a pensare sia normale guadagnare stipendi da fame. Poi mettiamo la testa fuori, in Europa, nel mondo, e vediamo che ci sono posti dove non funziona così. Fino a quando vogliamo continuare a far finta di niente? Il sistema di potere che ci sta davanti è strutturato e difficilmente permeabile. Per camminare sulle nostre gambe dobbiamo unire le forze. E non mollare la presa, adesso che ci stiamo svegliando dal letargo.

Fonte: Il FQ

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