Ancora quattro soldati morti in Afghanistan. Questa volta alpini. A dire alpini si pensa alle Alpi. Alla gente di montagna rocciosa e asciutta, sobria, dura e tagliente come i dialetti delle valli. Spaccalegna, boscaioli. Le parole però, quasi tutte ormai, non raccontano la verità. Gli alpini sono ragazzi di Agrigento, di Taranto, di Caserta. Ragazzi che scelgono la vita militare anche - non solo, certamente: anche - perché assicura loro un mestiere e una vita dignitosa in luoghi dove è la criminalità organizzata l'unica multinazionale capace di sottrarti senza rischio di cassa integrazione alla disoccupazione, alla povertà, al niente. I giovani morti ieri sono di Siracusa, Lecce, Alghero. Era nato a Pisa il più "nordico" di tutti. Avevano fra venti e trent'anni. Se l'insensatezza di cui ci parla ogni morte in guerra può dare spazio ancora al ragionamento di questo sarebbe giusto parlare a partire da domani, pianto il lutto: del federalismo di guerra. Del fatto che muoiono in guerra (difensiva? Possiamo davvero chiamarla così?) soprattutto i ragazzi venuti dal Centro, dal Sud. La cartina che vedete in prima pagina è chiara: nessuna vittima dalle regioni dell'arco alpino. Valle D'Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli. Il tributo più alto lo paga la Puglia, 8 morti. Poi la Campania: 5. E' un servizio reso al paese anche questo, dovranno darne atto il ministro La Russa e i suoi alleati leghisti che vogliono spaccare il paese in due, separare il nord dal sud, Secessione, divisione, chi produce e chi campa a sbafo, i parassiti e i lavoratori. Ecco, anche il tributo di morti andrebbe messo nel conto, quando si tirano le somme. Dice molto del Paese in cui viviamo. Riccardo Iacona ce lo racconta, oggi. L'Italia divisa fra la Nazione Padana e il Sud alla deriva. Gli odi, le incomprensioni, la distanza. E' un Paese in cui si stenta, con l'aria che tira e la cultura che impera, a celebrare persino il 150esimo dell'Unità. Leggete in cronaca. La nostra storia, il ricordo dell'epopea risorgimentale sono un fastidioso dovere d'ufficio.
Ho appena finito di leggere le quasi seicento pagine dello straordinario romanzo storico di Giancarlo De Cataldo: I Traditori. Racconta l'Italia che nasce, il Risorgimento cos'era. Un affresco in movimento di un'epoca resa odiosa dai libri di testo, una storia della quale nessuno ci ha mai raccontato - da ragazzi - la carne, i corpi, gli umori. Ne vorrei scrivere, ne scriverò. Due cose, intanto. Erano giovanissimi. Mazzini, Garibaldi,i Mille: erano adolescenti, i più vecchi ventenni. E' stata una rivolta generazionale. E' stata anche una storia di corruzione e di spie, di mafie, di accordi sottobanco e di tradimenti, appunto. Allora come oggi. E allora come oggi il Nord e il Sud erano in apparenza così distanti, così lontani, così diversi. Però l'Italia l'hanno fatta loro. Ho segnato una frase, siamo nel 1848. «Se il popolo italiano fosse fatto di studenti e professori l'Italia sarebbe libera da un pezzo. Ma studenti e professori non sono che un'infima minoranza. E il popolo, quello vero, sta da un'altra parte. Sta alla finestra. Guarda, aspetta di vedere come si mettono le sorti della battaglia, si prepara ad accorrere in soccorso del vincitore». Ne riparliamo.
Fonte: Unita.it
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