Si è giocata per cinque minuti e una manciata di secondi. Cinque minuti di troppo. Italia – Serbia, in verità, era già finita alle 19, due ore prima del calcio d’inizio, quando un gruppo di tifosi serbi ha iniziato ad attaccare la polizia. Non si era neppure dentro lo stadio ma Genova ha subito capito che aria tirava.
Allo stadio la situazione non è migliorata: i petardi, le spranghe e le urla per non far cominciare la gara. Gli ultras serbi non volevano che la gara si giocasse e, alla fine, hanno vinto loro, anche se la Serbia perderà 3-0 a tavolino e sconterà pesanti squalifiche.
A perdere sono stati i tifosi normali, quelli che, quando hanno visto la situazione hanno preso mogli e figli e sono scappati a casa. Non quelli che cantavano contro i serbi “zingari di m…”. Gli altri.
Per il resto il siparietto è stato quello solito: la polizia in campo, scudi minacciosi e assetto antisommossa. Poi i fischi agli inni durante il giorno del lutto per i caduti di Herat.
E infine la solita decisione surreale: si gioca, o almeno ci si prova. Tutto si risolve in cinque minuti, falsi e inutili. I giocatori hanno paura, l’arbitro pure al punto da ingoiare il fischietto pur di non concedere un rigore enorme per fallo su Pazzini.
Dopo arrivano i bengala in campo: li tirano i serbi, uno sfiora il portiere Viviano. Nuova sospensione: definitiva anche se non ufficiale fin quasi alle 22. Gli azzurri salutano il pubblico e se ne vanno. Viviano dice all’arbitro che “non se la sente” di giocare a due passi da chi gli tira contro i bengala.
Tutto si chiude con il primo piano in tv di una ragazzina serba. Avrà undici o dodici anni e lo sguardo spento di chi non capisce cosa sia successo e perché. Chi glielo spiega?
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