Mentre infuria l’appassionante dibattito sul tinello di casa Tulliani (pare che i segugi del Giornale abbiano scovato una pantegana anonima pronta a testimoniare di aver visto Fini fuggire dall’alloggio monegasco con un rotolo di carta igienica sotto la giacca), proseguono le ricerche di eventuali tracce di vita nel Pd. Per ora, invano. Persino i finiani, alla buon’ora, rivalutano Montanelli e rievocano i capitoli più indecenti della biografia berlusconiana (cioè tutti): truffa all’orfana, fondi neri, società offshore, Mangano & Dell’Utri. Tacciono solo sulle leggi ad personam, perché quelle le han votate anche loro.
I più arditi proferiscono addirittura un’espressione proibita anche a sinistra, “conflitto d’interessi”. In ritardo di vent’anni, sono comunque in anticipo sul Pd, che in quelle losche faccende non s’è mai voluto impicciare, convinto (da B.) che ricordare all’opinione pubblica i crimini dell’avversario non paga, anzi è sintomo di una grave malattia denominata (sempre da B.) ora “giustizialismo”, ora “antiberlusconismo”, ora “demonizzazione”, ora “odio”. Infatti il Partito dell’Amore non ha mai fatto altro che rinfacciare agli avversari i loro crimini, talvolta veri, più spesso inventati (da Telekom Serbia in giù). E, quando l’ha fatto, ha sempre avuto partita vinta. Intanto i suoi presunti avversari – che, per rinfacciargli i suoi crimini, hanno solo l’imbarazzo della scelta senza dover inventare nulla – si guardavano bene dal raccontarli. E han collezionato più fiaschi di una cantina sociale (però insistono). A parte Di Pietro, hanno lasciato a Bossi (fra il 1995 e il ‘99, prima della retromarcia su Arcore) e oggi ai finiani il monopolio di quel racconto. Che si rivela efficacissimo perché, arrivando da politici e non da giornalisti, riesce a bucare il muro dell’omertà televisiva: se Bocchino, Granata, Briguglio ricordano come B. comprò (si fa per dire) la villa di Arcore, Craxi, la Guardia di Finanza, Mills, la sentenza Mondadori, quel che dicono finisce nei pastoni politici dei tg e nemmeno Minzolingua può farci nulla, visto che nei tg l’informazione politica è appaltata ai politici.
Immaginiamo quanti milioni di italiani saprebbero chi è B. e com’è diventato B. se i vari D’Alema, Veltroni, Fassino, Rutelli, Marini, Fioroni, Bersani, Letta-Letta junior, Bertinotti e simili avessero usato gli spazi autogestiti in tv per raccontare le gesta del Caimano, anziché emettere mortiferi blabla sulle Grandi Riforme Condivise e altre menate. Infatti i pittbull di Arcore si sono scatenati contro Fini da quando ha osato parlare di “legalità”, che è come evocare la corda in casa dell’impiccato o sventolare una treccia di aglio dinanzi al vampiro. Il miglior antidoto al veleno berlusconiano. Peccato che finora nessuno, o quasi, l’abbia usato. E quei pochi che lo usavano venivano tacciati di ossessione antiberlusconiana e altre baggianate. Così oggi basta dire una cosa vera su B. e subito salta su Cicchitto ad ammonire: “Parlate come Travaglio”. E Pigi Battista a mettere in guardia Briguglio che, evocando le off-shore berlusconiane, parla come “Travaglio, Cordero e Grillo”. Non essendo né l’uno né l’altro giornalisti (uno è un piduista, l’altro non si sa bene cosa sia), questi signori non sono minimamente sfiorati dall’idea di verificare se le cose dette da Briguglio & C. siano vere o false. Altrimenti scoprirebbero che sono vere e dovrebbero spiegare tante cose. Per esempio, perché mai il Pompiere della Sera chiede (giustamente) a Fini di fare chiarezza sul tinello monegasco e non ha mai chiesto a B. di fare chiarezza sui suoi amici mafiosi. E perché, a proposito del linciaggio di Fini, non parla di “antifinismo”, “giustizialismo”, “demonizzazione”, “odio”. Al massimo invoca una “tregua”, come se la partita fra verità e bugie potesse finire pari e patta.
In fondo i pompieri son contenti così: sennò poi tocca tornare a parlare di cose serie, tipo P2, P3, cricca, Cosentino, trattative e stragi di mafia, o tipo Dell’Utri che va a visitare i carcerati per evitare di diventarlo anche lui. Per carità. Molto meglio il tinello di casa Tulliani.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, in edicola
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