MILANO -Come ti trasformo una banca cooperativa nel forziere personale del presidente e dei costruttori suoi amici. Dalla relazione ispettiva di Bankitalia al Credito cooperativo fiorentino emerge una banca stravolta, piegata agli interessi del ventennale leader Denis Verdini e agli affari dei suoi sodali, tanto che "si è sostanzialmente azzerata la redditività, e si è assottigliata ai minimi l'eccedenza patrimoniale".
Spicca il supporto inossidabile al gruppo costruttore Fusi-Bartolomei (Btp spa) e ai suoi satelliti, cui l'istituto ha prestato il 60% del patrimonio di vigilanza. Un supporto che "per entità e modalità di concessione e gestione non è improntato a minimali criteri di prudenza, ed è contraddistinto da diffuse irregolarità". La relazione di via Nazionale si snoda attorno ai rapporti incestuosi tra Verdini e l'orbita del contractor Btp. E per i quali l'ex banchiere e coordinatore Pdl "risulta indagato in diverse sedi giudiziarie per ipotesi di corruzione e riciclaggio, in concorso con uno dei titolari della Fusi-Bartolomei, principale affidato della banca, a cui Verdini risulta legato da relazioni d'affari". Per altro, Btp naviga in cattive acque, da aprile è in un complesso progetto di ristrutturazione. E ha contagiato i creditori: nel 2009, ha stimato Bankitalia, le "partite anomale" di Ccf tra incagli, sofferenze e perdite stimate su crediti sono cresciute del 130%, e sfiorano il 30% dei 400 milioni impiegati.
IL GIOCO DELLE TRE CARTE
La casistica è ampia. Fusi-Bartolomei ha crediti per 28,6 milioni "ampiamente sopra i limiti normativi". Non vengono considerati, per valutarne il rischio, i suoi rapporti con altri affidati, "i cui finanziamenti sono stati usati per trasferire risorse a componenti del gruppo medesimo". Per fare esempi la nota cita cinque società, partecipate da membri di Btp o dai coniugi Fusi: Alfieri srl con fidi per 12 milioni, Stif srl (5,7), Olympia (9), Cem costruzioni (1,5), Cassis srl (4). Tutte finanziate da Ccf tra 2007 e 2008 "per sottoscrivere preliminari acquisto di immobili da Fusi, o entità del suo gruppo, senza procedere alla definitiva compravendita". Una pratica, questa delle vendite fasulle, che ricorre spesso - anche da parte della Parved, società dello stesso Verdini - come un gioco delle tre carte per celare fini e cifre dei prestiti.
COME LA FONTANA DI TOTÒ E PEPPINO
C'è poi, nel 2008, il fido senza garanzia a 10 soggetti "legati da rapporti di lavoro o affari con Btp", per l'acquisto di due case a testa da Immobiliare Ferrucci (di Btp) "per 5,9 milioni, con significative deviazioni dagli standard ortodossi". Ovvero l'erogazione "dell'80% della compravendita, nonostante la realizzazione degli appartamenti fosse da anni ferma alla fase di scavo per difficoltà dell'impresa". Su quelle case non vi fu "nessuna perizia di stima del valore, risultato oltre il doppio rispetto a quello rilevabile da archivi pubblici". I rispettivi oneri, nel 2009, li pagarono altre società di Btp, a titolo di risoluzione del preliminare. Sulla vicenda indaga la magistratura. Come pure su quella che riguarda il fido da 2,5 milioni, tre anni fa, per acquistare un'area da Due Erre (allora in capo a Btp), "e che neppure era proprietaria dell'area oggetto di vendita". Un po' come la fontana di Treni di Totò e Peppino. Ma quei soldi servirono a far rientrare un cliente della banca, la Campi costruzioni. I milioni finirono ad Alfieri (di Btp) che "in pari data comprava per 7 milioni un terreno da Campi". Ancora oggi i costruttori non hanno comprato l'area, e la loro esposizione "è stata ridimensionata a seguito dell'erogazione di un nuovo grande fido" a società partecipata. Nuove società, vecchi nomi, nuovi fidi.
OPERAZIONI RISCHIOSE PER L'ANTIRICICLAGGIO
Altro caso dolente è l'anticipo di crediti "salvo buon fine" della Btp di Fusi; ma a buon fine non andavano, e "malgrado il sistematico richiamo della carta presentata (e salita da 20 milioni nel 2007 a 29 milioni nel 2009), quasi sempre infragruppo". Oppure, a Btp "era consentito l'addebito di effetti o Riba da lei emessi (a proprio favore), presentati all'incasso su altre banche, domiciliati per il pagamento sul Ccf e risultati quasi sempre insoluti". Una triangolazione che nel triennio ha riguardato 230 milioni, il 40% dei ricavi di Btp. Tali pratiche hanno pesato sulla liquidità: nell'ottobre scorso Ccf fu "costretta a un'imprevista operazione di pronti contro termine per 10 milioni a sei giorni". Nessuno eccepì. E nessuno lamentò che queste operazioni fossero "tra le più rischiose" in fatto di antiriciclaggio. Con grandi spostamenti di denaro giornalieri tra conti dell'orbita Btp, per cifre spesso superiori al volume di affari reali. Manco a dirlo, quella normativa "non è stata rispettata, anche per non trascurabili insufficienze nei processi organizzativi e di controllo".
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