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Piccolo diario di un testimone - Massimo Ciancimino


Innanzitutto, grazie tutti per i commenti al mio primo post. Avete ragione voi, non basta chiedere scusa, debbo andare avanti fino in fondo. Lo devo a mio figlio e a tanta gente. Anche in nome dei molti silenzi, voluti o non voluti, di mio padre. Silenzi che hanno finito per contribuire alla creazione del desolante quadro di questi anni.

In questi giorni, lo avete letto sui giornali, la magistratura ha continuato a interrogarmi. Il contenuto dei miei verbali è coperto da segreto. Posso dunque dirvi poco.

Una cosa però è giusto che la spieghi. Più vado avanti, e più mi convinco che il sogno di mio padre e di Bernardo Provenzano (alias signor Lo Verde) stia sempre prendendo vita. “In Italia non si potrà mai governare con tanti partiti e tante correnti. Ci vogliono pochi uomini con cui dialogare, pochi soggetti con cui stabilire le sorti del nostro paese”: queste erano le frasi che, come ho già raccontato nel mio libro e nelle mie interviste, papà ripeteva sempre.

Le diceva a un Provenzano compiacente intento come sempre ad ascoltarlo. Era il loro sogno: sostenevano che in Italia la democrazia non potrà mai funzionare. Troppi interlocutori – dicevano- non portano a niente, le decisioni serie vanno prese da poche persone, da un solo un tavolo di eletti, da pochi politici e qualche imprenditore con le giuste amicizie e i giusti appoggi scelti per guidare le sorti del nostro Paese. Questa era, per mio padre, l’unica guida possibile per il nostro paese. Oggi il suo sogno, secondo me, si sta finalmente avverando e chi si ribella a questo sistema va eliminato: “O dentro o fuori“.

Così io vado avanti. Con i magistrati sto cercando di spiegare meglio la famosa telefonata intercettata nel 2004 alla vigilia della celebrazione del decennale di Forza Italia a Palermo.

Per chi non lo ricordasse in quella conversazione registrata (ovviamente a mia insaputa) e poi depositata agli atti del procedimento contro di me parlavo a mia sorella Luciana di un finanziamento di circa venticinque milioni delle vecchie lire dato mediante assegno dall’onorevole Berlusconi a mio padre. Ora, grazie anche all’aiuto di mia madre, che mi ha consegnato recentemente alcuni documenti da lei conservati su indicazione di mio padre, sto cercando di chiarire anche questo mistero.

Inoltre, come sapete dalla stampa, vengo chiamato a dare ulteriori informazioni sulla reale identità del signor Franco. Ma quando penso a dove sono finiti i suoi amici, alle carriere che hanno fatto (sono ancora tutti lì più saldi che mai), mi chiedo in che razza di guaio mi sto cacciando.

Io, infatti, non mi illudo. So benissimo a che cosa vado incontro: vedrete come cercheranno d’impedirmi di rispondere.

Non sono però le minacce senza ragionamento di Messina Denaro a farmi paura. No, non temo di essere ammazzato da quattro mafiosi insulsi. Non sono queste le mie paure, o almeno le mie paure più grandi.

Sono invece preoccupato dal dover parlare di chi (con la massima spregiudicatezza) ha fatto suoi quasi tutti i poteri dello Stato.

Visto il clima e il livello a cui si è ormai arrivati, non vorrei un giorno dover leggere nei quotidiani dei suoi “vuvuzela”, di tradimenti di mia moglie o di storie dei miei suoceri. La delegittimazione di cui sono adesso di nuovo vittima l’ho già provata in occasione della mia possibile audizione al processo dello sfortunato senatore Dell’Utri (chi c’è più sfortunato di lui, nel trovarsi sempre con la gente sbagliata al momento sbagliato?).

Non c’è nessuna voglia di sapere al di fuori degli uffici giudiziari, nessuna voglia di ricordare. Questa è la verità. E questa è anche la sensazione che mi accompagna ogni qualvolta devo continuare a collaborare con le Procure di Palermo e Caltanissetta sulla ricostruzione di ciò che avvenne intorno alle stragi del 1993, verità scomode a tanti, oggi come ieri.

Lo sapete, sono stato definito il ventriloquo di mio padre morto, da tanti prestigiosi “politici e giornalisti”. Ma nessuno dice perché non si sentì mai il bisogno in tanti anni di ascoltare mio padre da vivo. Eppure lui lo aveva chiesto espressamente. Come dimostra anche l’ultima la lettera inviata all’allora Presidente della Commissione Antimafia Luciano Violante del 28 ottobre 1992, protocollata con il numero 0856. Mio padre voleva dire la sua e invece lo hanno arrestato.

Poi nel 2000 ha iniziato a raccontarmi la “sua Verità ” su quella che ancora oggi costituisce una forza attuale che determina e influenza le sorti del nostro paese. E lo hanno eliminato. O almeno questo è quello che penso io.

Adesso chi mi critica punta il dito contro la lentezza con la quale produco documentazione a supporto di quanto sto raccontando ai magistrati inquirenti. La continuano a chiamare rateizzazione. Ma, se le cose stanno così, mi chiedo e vi chiedo, cosa avrei dovuto fare di diverso?

Fonte: IL FQ

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