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Libia, Obama firma le sanzioni «Violata la decenza comune»

Si stringe il cerchio attorno al regime di Muammar Gheddafi. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha firmato una serie di sanzioni contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni del rais e dei suoi familiari depositati negli Stati Uniti. L'ordine esecutivo entra in vigore immediatamente e colpisce, oltre al colonnello, quattro suoi congiunti: Ayesha, generale dell'esercito; Khamis; Mutassim, consigliere per la sicurezza nazionale e Saif al-Islam. Intanto il leader libico ha invitato i suoi sostenitori a prendere le armi contro i manifestanti in un Paese messo a ferro e fuoco, dove le vittime sarebbero già molte migliaia: «Ci batteremo e vinceremo. Se occorresse, apriremmo tutti i depositi di armi per armare tutto la popolazione» ha detto nel suo primo intervento pubblico dall'inizio della rivolta. Saif al-Islam, figlio del rais, ha però aperto uno spiraglio al dialogo: ha proposto agli oppositori di sospendere gli attacchi e intavolare dei negoziati.

«VIOLATA LA DECENZA» - Tra le motivazioni citate dal presidente Usa per giustificare le sanzioni c'e il fatto che Gheddafi, il suo governo e i suoi stretti collaboratori hanno «preso misure estreme contro il popolo libico, tra cui l'uso di armi da guerra e mercenari per commettere violenza contro civili inermi». In una dichiarazione diffusa dal suo portavoce, Obama scrive che «il governo ha violato le norme internazionali, la decenza comune e deve essere considerato responsabile. Per tali ragioni queste sanzioni lo colpiscono, mentre proteggono gli asset che appartengono al popolo libico».


RISOLUZIONE ONU - Venerdì anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha trovato un'intesa e sabato alle 17 (ora italiana) si riunirà per votare un documento contro il regime del colonnello. Una bozza di risoluzione che circola fra i quindici Paesi membri valuta sanzioni tra cui un embargo sulle armi, sui viaggi del rais e sul blocco dei suoi asset. Il Consiglio deve prendere «misure decisive» in tal senso, ha spiegato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon: «La violenza deve cessare, chi versa con brutalità sangue di innocenti deve essere punito. Una perdita di tempo significa una perdita di vite umane». La bozza di risoluzione avverte inoltre Gheddafi che le violenze potrebbero essere considerate come crimini contro l'umanità. Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu chiede la sospensione della Libia dai suoi ranghi e un'indagine indipendente sulle violenze, mentre l'Unione europea potrebbe decretare un embargo sulle armi, il congelamento dei beni e il divieto dei visti nei confronti di Gheddafi e del suo entourage.

«DISERTATE O PROCESSO» - Ma il colonnello si è attivato per tempo nella speranza di salvare il suo immenso patrimonio. Secondo il Times sarebbe riuscito a nascondere 3 miliardi di sterline in un fondo di investimenti privati a Mayfair (quartiere chic di Londra), grazie a un intermediario basato in Svizzera che prima aveva avvicinato una nota casa di investimenti della City con l'obiettivo di depositare lì i fondi ma era stato bloccato. Il Tesoro britannico ha sguinzagliato i suoi segugi per identificare i capitali libici nascosti nel Paese: miliardi di sterline in conti bancari, oltre a una villa a Hampstead valutata 10 milioni. Dalla Gran Bretagna, e in particolare dal quotidiano Guardian, arriva anche un'altra notizia, secondo cui le autorità inglesi starebbero contattando figure di spicco del regime libico per persuaderle ad abbandonare Gheddafi ed evitare così il processo per crimini contro l'umanità. Sarebbero stati messi a punto piani di emergenza per sgomberare l'ambasciata del Regno Unito a Tripoli, ma il Foreign Office ha smentito una chiusura della sede nel fine settimana. L'ex ministro dell'Interno libico Abdel Fattah Yunis, in un'intervista concessa alla tv Al Arabiya, ha invitato l'esercito a unirsi subito alla rivolta del popolo, perché «ci dono le condizioni per vincere questa battaglia». E come hanno fatto altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore libico in Iran ha chiesto che Gheddafi lasci il potere: «Darà un segno di coraggio, il popolo è in grado di guidare il Paese».

NUOVI SCONTRI - Sabato mattina la capitale libica si è svegliata in una situazione di calma relativa, ma un giornalista ha detto ad Al Jazeera che un gruppo di attivisti e intellettuali che ha partecipato alle proteste sta creando un coordinamento di oppositori per operare in stretto contatto con i gruppi che controllano Bengasi e la Cirenaica, in modo da portare avanti una lotta organizzata. Ci sono nuovi scontri ad Al Zawiyah, 30 chilometri a ovest di Tripoli: le forze di sicurezza hanno attaccato gli insorti aprendo il fuoco. Sono 50mila le persone che hanno attraversato il confine con la Tunisia per trovare rifugio: in gran parte sono tunisini tornati in patria attraversando via terra il confine. Molti anche gli egiziani, circa 6.500. Secondo il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai), Foad Aodi, Gheddafi sarebbe ormai circondato: «In base alle informazioni che raccogliamo dalle nostre fonti a Tripoli, controlla ormai solo la zona intorno alla sua residenza-caserma di Bab Al-Azizia. Ci sono ancora segnalazioni di spari in città da parte delle milizie vicine al colonnello».

ITALIANI RIMPATRIATI - Infine, proseguono con qualche difficoltà i rimpatri dei connazionali che ne hanno fatto richiesta. Venerdì sera sono state completate le operazioni di imbarco a bordo della nave San Giorgio della Marina militare, che dal porto di Misurata ha sgomberato 245 persone, 130 delle quali italiane. Quindi ha fatto rotta verso Catania, dove dovrebbe arrivare domenica mattina. In Libia sono rimasti 25 dipendenti della società Bonatti nell'area a sud di Bengasi controllata dai rivoltosi. A largo della costa c'è il cacciatorpediniere Mimbelli, pronto a raccogliere i connazionali se riuscirà a ottenere i permessi di attracco. Restano in piedi le ipotesi di un nuovo tentativo con un C130 dell'aeronautica militare e il trasporto via terra fino al confine con l'Egitto.

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Fonte: Corriere.it

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