Chiuso per lutto il salotto di Maria Angiolillo, chiuso per ferie il salotto di Porta a Porta, il tenutario Vespa ha dovuto aprire quello di casa sua, anzi di Propaganda Fide, con vista su Trinità dei Monti, e apparecchiare un frugale pasto per alcuni noti senzatetto, strappandoli alla mensa della Caritas: il signor B., la figlia Marina, Piercasinando, il banchiere Geronzi, il governatore Draghi, Letta-Letta con gentil consorte e il cardinal Bertone che passava di lì in sottana di ordinanza a riscuotere la pigione (10 mila euro al mese). Assente giustificato Flavio Carboni, trattenuto da un precedente impegno a Regina Coeli. Sempre schivo e modesto, l’insetto ha spiegato di aver voluto festeggiare i suoi primi “cinquant’anni di giornalismo” (lui lo chiama così) con “pochi amici”: la prova che B. è perseguitato dai poteri forti e Vespa è un giornalista equidistante. O, come dice Gian Antonio Stella, equivicino. In realtà la soirèe doveva riattizzare la passione fra due vecchi amanti un po’ in freddo: Silvio e Pier. E il mezzano à pois si è volentieri prestato, con la collaborazione della sua signora Augusta Iannini, giudice distaccata al ministero della Giustizia per mettere in italiano le leggi ostrogote che escono dalla penna di Al Fano su misura per Al Nano. La sora Augusta sfaccendava in cucina, raccomandando agli ospiti di mettere le pattine per non sporcare in giro, chè poi tocca a lei lucidare in mancanza di Anemone.
La notizia ha sovreccitato i retroscenisti di palazzo, scatenati nella caccia al menu dell’imperdibile serata, già paragonata per la sua portata storica alla cena in casa Letta del 1997, quella del “patto della crostata” tra B. & Max D’Alema in fregola di Bicamerale. Ora, vista l’età media dei commensali, siamo al patto della prostata. Ma si diceva del menu. Il Geniale parla di “una forchettata di spigola e un sorbetto al limone”. La Stampa aggiunge “una pasta col pesce, un’immancabile caprese di cui il Cavaliere è assai goloso” e poi un imprecisato “gelato”. “Discordanti”, per La Stampa, “le testimonianze sul vino”: è certo che fosse bianco, forse un Greco di Tufo. Il sensale Bruno, vestito da pinguino con le code di rondine, svolazzava felpato tra gli ospiti coi piedi dolci e il tovagliolo bianco sul braccio: “Vogliamo cominciare con un prosciutto e
melone? Abbiamo anche degli antipastini caldi. Signori, facciano loro, sono qui per servirli”. Come sempre, del resto. Nessun cronista da riporto fa cenno ai piatti tipici della casa: la lingua d’insetto in tutte le salse e il leccalecca al gusto di tuttifrutti. Pare che B. avesse chiesto un Fini alla vaccinara, ma non c’è stato il tempo. A fine pasto, a un segnale convenuto dell’anfitrione maculato, Bertone attaccava a illustrare il dogma dell’Immacolata concezione del cardinal Sepe. Draghi spiegava gli standard di onorabilità dei banchieri a un incuriosito Geronzi. Letta e Vespa discutevano animatamente della legge bavaglio, concludendo che per loro non cambia nulla. Le tre pie donne si ritiravano in tinello a caricare la lavastoviglie. La consegna infatti era di consentire ai due piccioncini Silvio & Pier di appartarsi dietro il separè, nella speranza che riscoccasse la scintilla dei bei tempi che furono.
Per agevolare il compito a Cupido, il dàlmata dei mezzibusti metteva su un disco romantico e modulava luci soffuse. Silvio, per fare colpo, si ritirava in bagno a incipriarsi il naso e rifarsi il trucco. Poi passava ai preliminari, insistendo molto sulla benedizione vaticana e sulla comune appartenenza al Ppe. Ma Pier faceva la ritrosetta, allora il premier le ha offerto la vicepresidenza del Consiglio più lo Sviluppo Economico, vacante per le dimissioni di Scajola, o gli Esteri, vacanti per la presenza di Frattini Dry. Intanto, in punta di piedi, gli altri ospiti si dileguavano l’uno dopo l’altro, lasciandoli soli. Quel che è accaduto dopo, a luci spente, lo lasciamo all’immaginazione dei lettori. Per saperne di più, dovremo attendere il prossimo libro di Vespa. A meno che Piercasinando, memore di un illustre precedente, abbia registrato tutto.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 11 luglio, in edicola
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La notizia ha sovreccitato i retroscenisti di palazzo, scatenati nella caccia al menu dell’imperdibile serata, già paragonata per la sua portata storica alla cena in casa Letta del 1997, quella del “patto della crostata” tra B. & Max D’Alema in fregola di Bicamerale. Ora, vista l’età media dei commensali, siamo al patto della prostata. Ma si diceva del menu. Il Geniale parla di “una forchettata di spigola e un sorbetto al limone”. La Stampa aggiunge “una pasta col pesce, un’immancabile caprese di cui il Cavaliere è assai goloso” e poi un imprecisato “gelato”. “Discordanti”, per La Stampa, “le testimonianze sul vino”: è certo che fosse bianco, forse un Greco di Tufo. Il sensale Bruno, vestito da pinguino con le code di rondine, svolazzava felpato tra gli ospiti coi piedi dolci e il tovagliolo bianco sul braccio: “Vogliamo cominciare con un prosciutto e
melone? Abbiamo anche degli antipastini caldi. Signori, facciano loro, sono qui per servirli”. Come sempre, del resto. Nessun cronista da riporto fa cenno ai piatti tipici della casa: la lingua d’insetto in tutte le salse e il leccalecca al gusto di tuttifrutti. Pare che B. avesse chiesto un Fini alla vaccinara, ma non c’è stato il tempo. A fine pasto, a un segnale convenuto dell’anfitrione maculato, Bertone attaccava a illustrare il dogma dell’Immacolata concezione del cardinal Sepe. Draghi spiegava gli standard di onorabilità dei banchieri a un incuriosito Geronzi. Letta e Vespa discutevano animatamente della legge bavaglio, concludendo che per loro non cambia nulla. Le tre pie donne si ritiravano in tinello a caricare la lavastoviglie. La consegna infatti era di consentire ai due piccioncini Silvio & Pier di appartarsi dietro il separè, nella speranza che riscoccasse la scintilla dei bei tempi che furono.
Per agevolare il compito a Cupido, il dàlmata dei mezzibusti metteva su un disco romantico e modulava luci soffuse. Silvio, per fare colpo, si ritirava in bagno a incipriarsi il naso e rifarsi il trucco. Poi passava ai preliminari, insistendo molto sulla benedizione vaticana e sulla comune appartenenza al Ppe. Ma Pier faceva la ritrosetta, allora il premier le ha offerto la vicepresidenza del Consiglio più lo Sviluppo Economico, vacante per le dimissioni di Scajola, o gli Esteri, vacanti per la presenza di Frattini Dry. Intanto, in punta di piedi, gli altri ospiti si dileguavano l’uno dopo l’altro, lasciandoli soli. Quel che è accaduto dopo, a luci spente, lo lasciamo all’immaginazione dei lettori. Per saperne di più, dovremo attendere il prossimo libro di Vespa. A meno che Piercasinando, memore di un illustre precedente, abbia registrato tutto.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 11 luglio, in edicola
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