"CHE fine abbiamo fatto, siamo finiti in un mondo di froci. Povero Berlusconi!". Questo l'sms che Arcangelo Martino, l'ex assessore socialista di Napoli che presentò Noemi Letizia al premier, arrestato con Flavio Carboni per le gesta del comitato d'affari post-piduista, riceve nel gennaio scorso da un altro della combriccola. Hanno appena preparato un falso dossier per screditare Stefano Caldoro, attribuendogli frequentazioni transessuali, in modo da bloccarne la candidatura a presidente della Campania del centrodestra, in favore di quella del sottosegretario Nicola Cosentino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
A far avere il dossier a Gianni Letta a Palazzo Chigi ci pensa lo stesso Cosentino, mentre a Berlusconi lo reca come una reliquia Denis Verdini, il coordinatore del Pdl che nella nuova P3 e nell'intera cloaca di materiale infetto delle cricche, nelle catene verticali di potere invisibili, secondo la definizione di Gustavo Zagrebelski, svolge il ruolo di tuttofare.
Favorisce nomine di burocrati senza titoli e senza scrupoli, pilota appalti, serve gli interessi degli imprenditori che vogliono dividersi la torta della ricostruzione a L'Aquila ed entrare nel business "in deroga" della Protezione civile di Bertolaso, partecipa alla designazione di magistrati ad alti incarichi, spinge commissari amici per la gestione dei beni culturali. L'asserita politica berlusconiana del "fare" virata nell'orgia del "malaffare".
Macellaio in gioventù, poi commercialista e soprattutto da vent'anni presidente del Credito Cooperativo Fiorentino e di fatto socio di Riccardo Fusi, l'imprenditore super indebitato della Btp, da cui è nata l'inchiesta sulla Scuola dei Marescialli nell'area fiorentina di Castello posseduta da Salvatore Ligresti e al centro di un altro scandalo, Verdini in una telefonata di Angelo Balducci è definito "una bella figura di toscanaccio". Egli stesso in un'intervista si accredita del ruolo di "manutengolo del cameriere di Berlusconi", cioè del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi.
Entrambi di Fivizzano, un paesotto di settemila anime in provincia di Massa Carrara, dicono che non si conoscevano finché non sono approdati in Parlamento, dove hanno scoperto la corrispondenza d'amorosi sensi. L'uno grassoccio, liscio, curiale, cattolico, poeta e storico da bar che tentò, cadendo nel ridicolo, di paragonare la figura di Berlusconi a quella di Adriano Olivetti; l'altro massiccio, roco, laico e, nonostante le smentite, accreditato di far parte della massoneria, tanto che il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia Gustavo Raffi lo sospettò di aver tramato contro di lui quando si candidò per essere confermato nella carica.
Entrambi sembrano usciti da un film di Monicelli, l'uno da "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", l'altro da "Amici miei". Li unisce naturalmente l'amore sconfinato per il Capo: "Il Cavaliere è unico al mondo", disse Verdini in un'intervista a Denise Pardo, aggiungendo subito: "Ma non vorrei si dicesse che oltre che massone sono gay". Singolare ossessione omosessuale nel pressi della P3.
"Troppi massoni nel governo", sentenziò invece Francesco Cossiga quando Denis era ritenuto l'autore del nuovo Manuale Cencelli per spartire le cariche. E nell'ormai lontano 2003, anticipò quasi profeticamente che Flavio Carboni poteva essere considerato l'effettivo vice coordinatore di Forza Italia in Sardegna. Se ne è accorto Renato Soru, l'ex presidente silurato nel febbraio 2009 dalla Cricca delle 3M (Medici, Massoni e Mattoni) che governa a Cagliari: "A me la P3 in salsa sarda, che si salda perfettamente con quella nazionale, non ha attribuito storie gay come a Caldoro, ma da lungo tempo e ancora adesso sono oggetto di tecniche di delegittimazione e falsificazione della cricca del cemento, non diversa da quella dell'eolico, anche perché bloccai tra l'altro la speculazione di Gualtiero Cualbu a Tuvixeddu. Mi denunciarono, ma ora sono loro indagati e ne vedremo delle belle sul fronte dei rapporti tra affari, burocrazie e magistrature amministrative. I falsi dossier naturalmente vengono veicolati dall'Unione sarda".
Di chi è l'Unione Sarda? Di Sergio Zuncheddu, il costruttore socio anche del Foglio con Denis Verdini, che controlla altresì l'edizione toscana del Giornale della famiglia Berlusconi, che si dice sia prossimo ad essere ceduto ad uno stampatore torinese in società con la sottosegretaria Daniela Santanché e con l'ex reclutatore della P2 Luigi Bisignani, oggi uomo ombra dello staff di Gianni Letta a Palazzo Chigi. Ecco spiegata, in alternativa a quella della nuova loggia segreta, la teoria della inoffensiva bocciofila, che valse per Licio Gelli. Oggi è diventata sul giornale diretto da Giuliano Ferrara la parabola di nonna Abelarda. La P3 di Flavio Carboni, Verdini e faccendieri di ogni specie, inoffensivi sfigati che non ne azzeccano una, vogliono proporre la nonna "come vincitrice del titolo di miss Mondo".
Nella giunta sarda il governatore Ugo Cappellacci, selezionato a suo tempo da Romano Comincioli, detto Romi a casa Berlusconi, e dal "vice coordinatore" Carboni non c'è nonna Abelarda, ma nonna Ketty, che presiede agli Affari generali. Figlia di Armandino Corona, intimo di Ugo la Malfa, Gran Maestro della Massoneria all'epoca del caso Calvi-Ambrosiano, si narra che quando qualche anno fa il papà non era più in condizione di intendere e di volere fu lei a prendere in mano non solo gli affari immobiliari e sanitari, ma anche l'eredità massonica paterna. Altri tempi quelli in cui le donne non erano neanche ammesse nelle logge.
Il Circolo della Caccia in piazza Fontanella Borghese, la Trattoria da Orazio in via Porta Latina, Alvaro al Circo Massimo, dove era di casa Balducci con la banda della Ferratella: è una toponomastica complessa, nel centro di Roma, quella della nuova P3. Corridoi sicuri nell'appartamento romano sotto il Campidoglio di Denis Verdini, tutto damaschi, baldacchini e sedie cardinalizie. Non sarà raffinato come quello ceduto da Propaganda Fide a Bruno Vespa, dove l'altra sera hanno fatto allegra brigata Berlusconi, Letta, Casini, Geronzi, il cardinale Bertone e persino, presenza insolita e degna di qualche stupore, il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi.
Ma è lì, nei pressi del Campidoglio, che si sono nominati super burocrati, deliberate candidature di alti magistrati, come quella del presidente della Corte d'Appello di Milano Alfonso Marra, detto Fofò dall'ex giudice tributario geometra Pasquale Lombardi, arrestato con Carboni, animatore del "Centro di Studi Giuridici per l'Integrazione Europea Diritti e Libertà". Questa pseudo-loggetta organizza dotti convegni di magistrati, proprio come faceva negli anni Settanta, ai tempi dei pretori d'assalto, Giancarlo Elia Valori, ex piduista espulso da Gelli, che lo considerava un temibile concorrente. O magari Gran Galà a palazzo Brancaccio per festeggiare la nomina di Vincenzo Carbone (non Carboni) a primo presidente della Corte di Cassazione. Poi, tra quei damaschi, in questi anni si sono definiti appalti, compulsati 88 progetti di centrali a vento nell'offshore sardo, e gestite tante altre storie che la parabola di nonna Abelarda vuole semplici episodi di ordinarie lobby, di comitati d'affari un po' squinternati.
Ma in fondo c'è del vero nella teoria di Ferrara, perché per il bollo di autenticità certificato di ogni operazione occorreva e occorre salire a Palazzo Chigi, nell'ufficio di Gianni Letta, dove soltanto Bisignani può entrare senza bussare. I manovali, si chiamino Verdini, Bertolaso, Carboni o Cappellacci, spalano. Ma è lì a Piazza Colonna, dove Letta è assiso da un cinquantennio, prima a Palazzo Wedekind poi di fronte, a Palazzo Chigi, che si legittima l'oligarchia che infetta questa specie di democrazia. Tra denaro e protezioni, carriere e promozioni, immunità e privilegi.
Fonte: repubblica.it
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A far avere il dossier a Gianni Letta a Palazzo Chigi ci pensa lo stesso Cosentino, mentre a Berlusconi lo reca come una reliquia Denis Verdini, il coordinatore del Pdl che nella nuova P3 e nell'intera cloaca di materiale infetto delle cricche, nelle catene verticali di potere invisibili, secondo la definizione di Gustavo Zagrebelski, svolge il ruolo di tuttofare.
Favorisce nomine di burocrati senza titoli e senza scrupoli, pilota appalti, serve gli interessi degli imprenditori che vogliono dividersi la torta della ricostruzione a L'Aquila ed entrare nel business "in deroga" della Protezione civile di Bertolaso, partecipa alla designazione di magistrati ad alti incarichi, spinge commissari amici per la gestione dei beni culturali. L'asserita politica berlusconiana del "fare" virata nell'orgia del "malaffare".
Macellaio in gioventù, poi commercialista e soprattutto da vent'anni presidente del Credito Cooperativo Fiorentino e di fatto socio di Riccardo Fusi, l'imprenditore super indebitato della Btp, da cui è nata l'inchiesta sulla Scuola dei Marescialli nell'area fiorentina di Castello posseduta da Salvatore Ligresti e al centro di un altro scandalo, Verdini in una telefonata di Angelo Balducci è definito "una bella figura di toscanaccio". Egli stesso in un'intervista si accredita del ruolo di "manutengolo del cameriere di Berlusconi", cioè del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi.
Entrambi di Fivizzano, un paesotto di settemila anime in provincia di Massa Carrara, dicono che non si conoscevano finché non sono approdati in Parlamento, dove hanno scoperto la corrispondenza d'amorosi sensi. L'uno grassoccio, liscio, curiale, cattolico, poeta e storico da bar che tentò, cadendo nel ridicolo, di paragonare la figura di Berlusconi a quella di Adriano Olivetti; l'altro massiccio, roco, laico e, nonostante le smentite, accreditato di far parte della massoneria, tanto che il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia Gustavo Raffi lo sospettò di aver tramato contro di lui quando si candidò per essere confermato nella carica.
Entrambi sembrano usciti da un film di Monicelli, l'uno da "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", l'altro da "Amici miei". Li unisce naturalmente l'amore sconfinato per il Capo: "Il Cavaliere è unico al mondo", disse Verdini in un'intervista a Denise Pardo, aggiungendo subito: "Ma non vorrei si dicesse che oltre che massone sono gay". Singolare ossessione omosessuale nel pressi della P3.
"Troppi massoni nel governo", sentenziò invece Francesco Cossiga quando Denis era ritenuto l'autore del nuovo Manuale Cencelli per spartire le cariche. E nell'ormai lontano 2003, anticipò quasi profeticamente che Flavio Carboni poteva essere considerato l'effettivo vice coordinatore di Forza Italia in Sardegna. Se ne è accorto Renato Soru, l'ex presidente silurato nel febbraio 2009 dalla Cricca delle 3M (Medici, Massoni e Mattoni) che governa a Cagliari: "A me la P3 in salsa sarda, che si salda perfettamente con quella nazionale, non ha attribuito storie gay come a Caldoro, ma da lungo tempo e ancora adesso sono oggetto di tecniche di delegittimazione e falsificazione della cricca del cemento, non diversa da quella dell'eolico, anche perché bloccai tra l'altro la speculazione di Gualtiero Cualbu a Tuvixeddu. Mi denunciarono, ma ora sono loro indagati e ne vedremo delle belle sul fronte dei rapporti tra affari, burocrazie e magistrature amministrative. I falsi dossier naturalmente vengono veicolati dall'Unione sarda".
Di chi è l'Unione Sarda? Di Sergio Zuncheddu, il costruttore socio anche del Foglio con Denis Verdini, che controlla altresì l'edizione toscana del Giornale della famiglia Berlusconi, che si dice sia prossimo ad essere ceduto ad uno stampatore torinese in società con la sottosegretaria Daniela Santanché e con l'ex reclutatore della P2 Luigi Bisignani, oggi uomo ombra dello staff di Gianni Letta a Palazzo Chigi. Ecco spiegata, in alternativa a quella della nuova loggia segreta, la teoria della inoffensiva bocciofila, che valse per Licio Gelli. Oggi è diventata sul giornale diretto da Giuliano Ferrara la parabola di nonna Abelarda. La P3 di Flavio Carboni, Verdini e faccendieri di ogni specie, inoffensivi sfigati che non ne azzeccano una, vogliono proporre la nonna "come vincitrice del titolo di miss Mondo".
Nella giunta sarda il governatore Ugo Cappellacci, selezionato a suo tempo da Romano Comincioli, detto Romi a casa Berlusconi, e dal "vice coordinatore" Carboni non c'è nonna Abelarda, ma nonna Ketty, che presiede agli Affari generali. Figlia di Armandino Corona, intimo di Ugo la Malfa, Gran Maestro della Massoneria all'epoca del caso Calvi-Ambrosiano, si narra che quando qualche anno fa il papà non era più in condizione di intendere e di volere fu lei a prendere in mano non solo gli affari immobiliari e sanitari, ma anche l'eredità massonica paterna. Altri tempi quelli in cui le donne non erano neanche ammesse nelle logge.
Il Circolo della Caccia in piazza Fontanella Borghese, la Trattoria da Orazio in via Porta Latina, Alvaro al Circo Massimo, dove era di casa Balducci con la banda della Ferratella: è una toponomastica complessa, nel centro di Roma, quella della nuova P3. Corridoi sicuri nell'appartamento romano sotto il Campidoglio di Denis Verdini, tutto damaschi, baldacchini e sedie cardinalizie. Non sarà raffinato come quello ceduto da Propaganda Fide a Bruno Vespa, dove l'altra sera hanno fatto allegra brigata Berlusconi, Letta, Casini, Geronzi, il cardinale Bertone e persino, presenza insolita e degna di qualche stupore, il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi.
Ma è lì, nei pressi del Campidoglio, che si sono nominati super burocrati, deliberate candidature di alti magistrati, come quella del presidente della Corte d'Appello di Milano Alfonso Marra, detto Fofò dall'ex giudice tributario geometra Pasquale Lombardi, arrestato con Carboni, animatore del "Centro di Studi Giuridici per l'Integrazione Europea Diritti e Libertà". Questa pseudo-loggetta organizza dotti convegni di magistrati, proprio come faceva negli anni Settanta, ai tempi dei pretori d'assalto, Giancarlo Elia Valori, ex piduista espulso da Gelli, che lo considerava un temibile concorrente. O magari Gran Galà a palazzo Brancaccio per festeggiare la nomina di Vincenzo Carbone (non Carboni) a primo presidente della Corte di Cassazione. Poi, tra quei damaschi, in questi anni si sono definiti appalti, compulsati 88 progetti di centrali a vento nell'offshore sardo, e gestite tante altre storie che la parabola di nonna Abelarda vuole semplici episodi di ordinarie lobby, di comitati d'affari un po' squinternati.
Ma in fondo c'è del vero nella teoria di Ferrara, perché per il bollo di autenticità certificato di ogni operazione occorreva e occorre salire a Palazzo Chigi, nell'ufficio di Gianni Letta, dove soltanto Bisignani può entrare senza bussare. I manovali, si chiamino Verdini, Bertolaso, Carboni o Cappellacci, spalano. Ma è lì a Piazza Colonna, dove Letta è assiso da un cinquantennio, prima a Palazzo Wedekind poi di fronte, a Palazzo Chigi, che si legittima l'oligarchia che infetta questa specie di democrazia. Tra denaro e protezioni, carriere e promozioni, immunità e privilegi.
Fonte: repubblica.it
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