ROMA - Braccio di ferro tra Roma e Bruxelles sulle pensioni delle impiegate statali, mentre si scopre che il combinato disposto della manovra e della riforma Sacconi-Tremonti rivoluziona l'età pensionabile. L'Italia dovrà alzare da 60 a 65 anni l'età pensionabile delle dipendenti pubbliche al massimo entro il primo gennaio del 2012. Questo l'ultimo avvertimento della Commissione Ue, che non intende concedere sconti al nostro paese, e boccia il sistema di innalzamento graduale varato dal governo che prevedeva un cammino di otto anni con il punto di arrivo a 65 anni (come gli uomini) soltanto nel 2018.
Si profila dunque un nuovo pesante intervento sulla previdenza che si aggiunge agli altri: un rapporto tecnico, che Repubblica è in grado di anticipare, conteggia infatti il combinato disposto della chiusura delle finestre della manovra e del "regolamento" Sacconi-Tremonti sull'innalzamento dell'età di vecchiaia e anzianità in relazione alle aspettative di vita, a cominciare dal 2015. In totale fino al 2050 si tratta di un intervento da 86,9 miliardi, che aumenterà l'età di anzianità da due a cinque anni e di circa altrettanto quella di vecchiaia. Uno degli effetti sarà che i giovani appena assunti andranno in pensione di vecchiaia a 70 anni e in pensione di anzianità a 66.
Tornando al braccio di ferro con Bruxelles sulle donne statali l'Italia sembra non avere troppi argomenti per resistere. "Non c'è alcuno spazio per la trattativa", ha allargato le braccia il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, al termine dell'incontro con la vicepresidente dell'esecutivo europeo, Viviane Reding, svoltosi a Lussemburgo."Siamo di fronte a qualcosa che non dipende dalla volontà del governo". Un messaggio rivolto soprattutto ai sindacati, che saranno ascoltati nei prossimi giorni e che vengono invitati dal ministro a "non scioperare contro la pioggia". Perché di fronte alla "ferma posizione" di Bruxelles nulla può essere fatto. "In una democrazia le sentenze di una Corte si rispettano", ha infatti tagliato corto la commissaria Reding, sottolineando come "sia più che ragionevole aver dato all'Italia tempo fino al primo gennaio del 2012". L'opposizione tuttavia non ci sta: e Rosi Bindi del Pd rimprovera al governo di "usare l'Europa come alibi contro le donne".
Ora la parola passa al consiglio dei ministri che - ha spiegato Sacconi - giovedì "dovrà decidere cosa fare". E appare quasi scontato che le norme con cui il governo italiano si adeguerà alla sentenza della Corte Ue di giustizia del novembre 2008 saranno inserite nella manovra da 24 miliardi: "E' questo il veicolo più tempestivo che attualmente abbiamo a disposizione", ha affermato il ministro del lavoro. Anche perché secondo il calcolo dei tecnici del ministero non adeguarsi subito alla sentenza della Corte Ue costerebbe all'Italia molto caro: il rischio è quello di una sanzione fino a 714 mila euro al giorno, da quando è stata emessa la sentenza. Se l'Italia dovesse porre fine all'infrazione oggi, si spiega, dovrebbe già pagare oltre 19 milioni di euro.
Sacconi ha già informato dell'esito dell'incontro con la Reding Tremonti e Brunetta, spiegando loro l'impraticabilità della soluzione di compromesso elaborata negli ultimi giorni, che prevedeva di accorciare il periodo di transizione, portandolo dal 2018 al 2016. "La gradualità che avevamo proposto - ha spiegato Sacconi - non è stata considerata sufficiente".
Fonte: Repubblica.it
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