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Pisanu: ci fu una trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra

MILANO - «È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto è nella natura stessa della borghesia mafiosa». È questa l'analisi sviluppata dal presidente della commissione parlamentare Antimafia Beppe Pisanu nella sua relazione su «I grandi delitti e le stragi di mafia '92-'93», illustrata mercoledì all'organismo di inchiesta.

DEMOCRAZIA IN PERICOLO - Alle spalle delle stragi - afferma Pisanu - si mosse «un groviglio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato». «La spaventosa sequenza del '92 e del '93 ubbidì a una strategia di stampo mafioso e terroristico, ma produsse effetti divergenti». Da un lato ci fu il senso di «smarrimento politico-istituzionale che fece temere al presidente del Consiglio di allora l'imminenza di un colpo di Stato». Dall'altro determinò «un tale innalzamento delle misure repressive che indusse Cosa Nostra a rivedere le proprie scelte e prendere la strada dell'inabissamento». Ma Pisanu avverte: «Nello spazio di questa divergenza si aggroviglia quell'intreccio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato che più volte abbiamo visto riemergere dalle viscere del paese». Pisanu indica l'orizzonte del dibattito in commissione: «Indagheremo le relazioni tra mafia e politica ma con un'avvertenza per me decisiva» perché «di fronte a eventi terribili si giustappongono senza mai fondersi tre verità, quella giudiziaria, quella politica e quella storica, che si basano su metodi di ricerca e su fonti diverse con la conseguenza di dare luogo a risultati parziali e insoddisfacenti» cosa che è «nella maggioranza dei casi inevitabile». Pisanu afferma ancora: «La verità politica interessa tutti noi per cercare di spiegare ai nostri elettori quale pericolo ha corso la democrazia in quel biennio e come si è riuscito a evitarlo».

DUE TRATTATIVE - Quindi ha ricostruito dettagliatamente i passaggi degli "omicidi eccellenti" e delle stragi a partire da quella mancata dell'Addaura, dicendo che ormai vi sono notizie «abbastanza chiare» su due trattative: «Quella tra Mori e Ciancimino, che forse fu la deviazione di un'audace attività investigativa, e quella tra Bellini-Gioè-Brusca-Riina, da cui nacque l'idea di aggredire il patrimonio artistico dello Stato». Citando Falcone, Pisanu ha sostenuto che «non esistono "terzi livelli" di alcun genere capaci di influenzare o addirittura determinare gli indirizzi di Cosa Nostra», e quindi «ipotizzare l'esistenza di centrali del crimine, burattinai e grandi vecchi che dall'alto dettano l'agenda o tirano le fila della mafia, significa - secondo Pisanu - peccare di rozzezza intellettuale». Ma dalla storia di quegli anni e dalle esperienze di personaggi politici e giudiziari di prim'ordine, se emerge «l'estraneità di governo alla trattativa» con la mafia, non si può escludere che «qualcosa del genere ci fu e Cosa Nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza». Sulla strage di via D'Amelio e sugli sviluppi successivi - ipotizza Pisanu - «la trattativa ebbe un impatto rilevante. Non è facile misurarne la portata a causa della segretezza delle indagini in corso. Secondo l'opinione prevalente il primo contatto fu stabilito nello spazio di tempo compreso tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio e si protrasse fino al dicembre del '92, praticamente fino alla vigilia dell'arresto di Riina avvenuto il 16 gennaio successivo».

INTERVENTI ESTERNI - «Anche la semplice narrazione dei fatti induce a ritenere che vi furono interventi esterni alla mafia nella programmazione ed esecuzione delle stragi - si legge ancora nella relazione -. Fin dall'agosto del '93 un rapporto della Dia aveva intravisto e descritto un'aggregazione di tipo orizzontale, in cui rientravano, oltre alla mafia, talune logge massoniche di Palermo e Trapani, gruppi eversivi di destra, funzionari infedeli dello Stato e amministratori corrotti. Sulla stessa linea, pur restringendo il campo, il procuratore di Caltanissetta Lari ha sostenuto recentemente che Cosa Nostra non è stata eterodiretta da entità altre, ma che al tavolo delle decisioni si siano trovati, accanto ai mafiosi, soggetti deviati dell'apparato istituzionale che hanno tradito lo Stato con lo scopo di destabilizzare il Paese mettendo a disposizione un know-how strategico e militare». A luglio lo stesso procuratore - spiega Pisanu - aveva anticipato che, dopo le dichiarazioni di Spatuzza, «le investigazioni hanno lasciato la pista puramente mafiosa e puntano a scoprire un patto fra i boss di Cosa Nostra e servizi segreti». «Probabilmente - conclude l'ex ministro - Provenzano fu insieme a Ciancimino tra i protagonisti di trattative del genere, mentre Riina ne fu, almeno in parte, la posta. Trattative complesse e a tutt'oggi oscure, nelle quali entrarono a vario titolo, per convergenza di interessi, soggetti diversi, ma tutti dotati di un concreto potere contrattuale da mettere sul piatto. Altrimenti Cosa Nostra li avrebbe rifiutati».

MAFIA E POLITICA - Pisanu ha osservato che l'elemento probabilmente sottostante al confronto mafia-Stato era l'abolizione del 41bis e il «ridimensionamento di tutte le attività di prevenzione e repressione». A riscontro cita una «singolare corrispondenza di date che si verifica, a partire dal maggio del '93, tra le stragi sul territorio continentale e la scadenza di tre blocchi di 41bis emessi nell'anno precedente». «Cosa Nostra - prosegue - ha forse rinunciato all'idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato, ma non ha certo rinunciato alla politica. Bloccato il braccio militare, ha certamente curato le sue relazioni, i suoi affari, il suo potere. Ma dagli anni '90 a oggi ha perduto quasi tutti i suoi maggiori esponenti, mentre in Sicilia è cresciuta grandemente un'opposizione sociale alla mafia che ha i suoi eroi e i suoi obiettivi civili e procede decisamente accanto alla magistratura e alle forze dell'ordine».

«NARRACCI FORSE INDAGATO» - In particolare nel capitolo dedicato alla strage di via D'Amelio, Pisanu scrive che «le prime indagini avrebbero subito rilevanti forzature anche ad opera di funzionari della polizia di Stato legati ai servizi segreti. Ora è legittimo chiedersi se tali forzature nacquero dal'ansia degli investigatori di dare una risposta appagante all'opinione pubblica sconvolta o se invece nacquero da un deliberato proposito di depistaggio. Non ci sono, almeno per ora, risposte documentate. Sulla scena, comunque, riappaiono le ombre dei servizi segreti. Prima fra tutte, quella del dottor Lorenzo Narracci a quanto pare indagato a Caltanissetta». Sempre riferendosi all'ex funzionario del Sisde e collaboratore di Bruno Contrada e tuttora in servizio all'Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna), Pisanu scrive ancora: «Gaspare Spatuzza lo ha vagamente riconosciuto in fotografia come persona esterna a Cosa Nostra; mentre Massimo Ciancimino, testimone piuttosto discusso, lo ha indicato come accompagnatore del misterioso signor Franco o Carlo», che secondo il figlio dell'ex sindaco di Palermo avrebbe seguito Vito Ciancimino nel corso della «trattativa». La Procura di Caltanissetta non commenta la notizia dell'iscrizione di Narracci nel registro degli indagati, ma fonti giudiziarie citate dall'Ansa la confermano. L'indiscrezione era stata anticipata il 27 maggio da alcuni organi di stampa, che tuttavia non avevano fatto il nome di Narracci.

GRASSO: SERVONO PROVE - «Le teorie sono belle ma nei processi abbiamo bisogno delle prove giudiziarie. Le prove costruite su tante fonti non hanno mai consentito di costruire la prova penale individualizzante in grado di accertare responsabilità». Così il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano un commento sulla relazione di Pisanu sui delitti e le stragi di mafia del 1992-93 con riferimento ai passaggi sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Grasso ha parlato al termine dell'audizione sul ddl intercettazioni innanzi alla commissione Giustizia della Camera. Pisanu ha replicato di aver «chiarito, fin dalle prime battute della mia relazione, che di fronte a vicende drammatiche e complesse come quelle dei grandi delitti e delle stragi di mafia del 1992-'93, ci sono tre verità diverse, difficili da contemperare: quella giudiziaria, quella politica e quella storica. Come è facile capire, la mia relazione è soltanto politica e non ha la benché minima pretesa di stabilire verità giudiziarie».

Fonte: Corriere.it

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