Ci sono parole che si logorano con l'uso. Golpe, per esempio. Che poi è una parola straniera, una parola che vuol dire colpo di stato e si dice in spagnolo perché è stato nei paesi di lingua spagnola, per un certo periodo, che i colpi di Stato riuscivano meglio, per quanto di solito con un aiutino. Un po' come brioche si dice in francese e computer in inglese: diritti d'autore linguistici. In Italia "golpe" ha un sapore anni Settanta: chi ne parla ancora si vede che aveva vent'anni allora, una minoranza di dietrologi rimasta alle passioni e alle paure della sua giovinezza un po' come certe signore che da vecchie continuano a truccarsi di turchese. La prevalenza del Gabibbo ha condannato chi insiste ad analizzare gli scenari occulti ad una condizione di marginalità penosa dove ridicolo risulta non il pupazzo ciccione ma l'essere umano pensante. Rileggevo l'incredibile intervista che ha dato ieri al nostro giornale il procuratore di Caltanissetta Nico Gozzo, quella in cui spiega che le stragi di mafia furono parte di un disegno golpista in cui lo Stato ha agito da protagonista. Ripensavo a quel che dicevamo giorni fa a proposito della miseria di linguaggio e di argomenti dei lestofanti della P3, questi che con arroganza inaudita scandiscono nel dialetto della loro contrada e col tono di farlo coi piedi sul tavolo, da una poltrona ministeriale, disposizioni per infamare, per promuovere, per sbloccare un appalto col favore di Cesare: non abbiamo più nemmeno i golpisti di una volta.
Quando anni fa mi capitava di conversare con Cossiga di Gladio e di Edgardo Sogno, dell'amico spagnolo Tejero e dei suoi sodali si dipanavano nel ragionamento disegni complessi che mettevano in gioco alleanze internazionali, strategie politiche dove gli omissis erano sempre più eloquenti delle parole in chiaro, silenzi accompagnati da gesti, nomi di calibro altissimo naturalmente di ogni schieramento in un gioco di reciproche convenienze e di generali conseguenti reticenze. Persino Licio Gelli, derubricato all'epoca come materassaio - non può essere lui, si diceva con qualche fondamento, il capo della P2 - parlava ed agiva, al cospetto di Cosentino e dei suoi soci, come uno statista. Anche di questo ha chiesto Massimo Solani ad Elisabetta Cesqui, pm negli anni della P2 oggi in commissione disciplinare Csm. Un'intervista in cui P2 e P3 sono messe a confronto. «Fra gli anticorpi che la magistratura ha per reagire ai processi degenerativi al suo interno - dice alla fine - c'è anche l'ispettorato del ministero della Giustizia, ma se anche l'ispettorato è contaminato dalla degenerazione le cose si complicano». Il capo degli ispettori si chiama Arcibaldo Miller. «Se è l'ispettorato stesso ad essere oggetto di perplessità: chi custodisce i custodi?». È curioso, ma è una delle domande che si fa un bambino di dieci anni nel libro di cui vi parliamo oggi in cultura: «I signori col berretto» di Hugo Paredero, la dittatura argentina raccontata da 150 bambini fra cinque a dodici anni. «I militari controllavano quelli che non erano militari, ma allora chi controllava i militari?». «Volevano molti soldi ed erano tutti maschi. Si vede che alle femmine i soldi non servono». Chissà se lo ha letto Michele Serra. I soldi servono anche alle femmine ma in effetti, lo scriveva giorni fa, nelle cricche ci sono solo uomini. Anche fra i golpisti da strapazzo, solo uomini miserabili.
Fonte: Unita.it
---Se hai trovato interessante l'articolo iscriviti ai feed via mail per rimanere sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog
0 commenti to " Parole in disuso - Di Concita de Gregorio "