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Bavaglio criminale - Luigi de Magistris

La legge sulle intercettazioni è uno dei più pericolosi provvedimenti approvati negli ultimi decenni. Licenziato dal Senato, con il voto vigliacco di fiducia da parte del Pdl (finiani compresi) e della Lega (per cui, un tempo, Berlusconi era in odor di mafia). Una legge pro criminali e contro i media. Criminogena. Liberticida. È dovere di ogni cittadino, e in particolare di chi riveste un ruolo politico, intraprendere verso di essa ogni azione prevista dall’ordinamento democratico ed anche, quindi, chiedere al presidente della Repubblica di esercitare il ruolo che la Costituzione gli assegna: verificare, non oggi con improprie consultazioni informali, ma a provvedimento approvato in via definitiva, se vi siano profili di incostituzionalità che ne impediscano la promulgazione. La sollecitazione non significa volerlo condizionare, semplicemente evidenziare che, ormai da tempo, si sta svuotando, con legislazione ordinaria , la Costituzione di cui egli è uno dei primi custodi. Tutto qui. La sua autonomia nessuno la vuole e la può minare. Il ddl approvato al Senato è intriso di profili di incostituzionalità che non potranno sfuggire né al capo dello Stato né ai suoi qualificati consiglieri giuridici. Vediamone alcuni.

La norma che prevede la sostituzione del pm che risulta indagato per fughe di notizie contrasta con l’indipendenza e l’autonomia della magistratura come scolpiti in Costituzione. È sufficiente la denuncia strumentale di un indagato nei confronti di un magistrato sgradito per assegnare il fascicolo ad un altro. Si affida al Riina o all’Anemone di turno la scelta del pm che deve investigare. La mera iscrizione del magistrato nel registro degli indagati può comportare anche la sua sospensione. La clava della minaccia disciplinare, collegata a un atto dovuto come l’iscrizione che non implica alcuna valutazione di responsabilità, condiziona la libertà di giudizio e lede l’indipendenza della magistratura. Il divieto per i media di pubblicare intercettazioni di interesse pubblico viola l’art. 21 della Carta che tutela il diritto-dovere di cronaca, nonché il diritto comunitario e quello internazionale. Le dimissioni di Nixon negli Usa per il Watergate originarono dalla pubblicazione di fatti da parte della libera stampa. Il divieto di pubblicare i nominativi dei magistrati titolari del procedimento si pone in contrasto con il medesimo articolo della Costituzione.

I cittadini hanno il diritto di conoscere se le indagini sulla corruzione, ad esempio, sono svolte da Caselli piuttosto che da Toro. La magistratura è impersonale, ma non tutti i magistrati sono uguali. L’impossibilità per un cittadino di registrare la conversazione che intrattiene con un’altra persona è in contrasto con l’art. 112 della Costituzione che sancisce l’obbligatorietà dell’azione penale. Si va in galera se si registra. Una moglie non potrà più registrare il marito che la maltratta e un cittadino non potrà più registrare un impiegato pubblico mentre gli chiede la mazzetta. Si tratta di casi in cui il cittadino è parte attiva del procedimento senza trincerarsi nell’anonimato: perciò si scoraggia la coscienza civica. La disciplina dell’acquisizione dei tabulati telefonici – ossia l’individuazione dei nominativi delle persone che si contattano tra loro – viene equiparata alle intercettazioni, pur non essendo tali come sancito dalla Corte costituzionale: si tratta di una norma irragionevole che impedisce alla magistratura di acquisire i tabulati come documenti (non avremmo mai conosciuto i dati che sono stati fondamentali anche nelle indagini sulle stragi di mafia).

La limitazione delle intercettazioni ambientali, sino alla loro quasi totale eliminazione, si pone in contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale. È una delle norme “salva cricca” per eccellenza, oltre che di tutela per i mafiosi di Stato. Si elimina un mezzo di ricerca della prova che è stato indispensabile per assicurare alla giustizia corrotti, mafiosi, pedofili, assassini perché consente di squarciare i tessuti criminali più impermeabili. Lo stesso limite temporale contrasta con i principi di autonomia della magistratura e di obbligatorietà dell’azione penale. Non può essere il legislatore a decidere sulla durata di un’intercettazione, ma la magistratura. Se si sta pagando una mazzetta oppure saldando un debito usuraio, non può il legislatore decidere l’interruzione di un’attività d’indagine che consente di impedire la consumazione del crimine.

La decisione di affidare l’autorizzazione delle intercettazioni al giudice collegiale, il quale ha sede nel capoluogo del distretto, è norma costituzionalmente irragionevole: per la condanna per omicidio – sino a 30 anni di reclusione – decide un solo giudice, per disporre un’intercettazione c’è bisogno, invece, di 3 giudici, per giunta della sede distrettuale. Ad esempio, il pm di Latina dovrà rivolgersi ai giudici del Tribunale di Roma. Dovrà, inoltre, allegare non solo gli atti necessari per la richiesta, ma l’intero fascicolo. Anche se per una richiesta d’intercettazione basta l’informativa di polizia giudiziaria, se il fascicolo consta di 30 faldoni – non necessari per quella richiesta – dovranno essere trasmessi tutti (in fotocopia). Aumenteranno, quindi, violazione della privacy e fughe di notizie in quanto troppe persone entreranno nella disponibilità del fascicolo, con alti costi economici e burocratici.

Nella valutazione dei gravi indizi di reato per l’autorizzazione alle intercettazioni si dovranno applicare le norme del Codice di procedura penale previste per la sussistenza dei gravi indizi necessari per il giudizio di colpevolezza quando si emette la sentenza. Si tratta, quindi, di norma irragionevole e in contrasto con l’obbligatorietà dell’azione penale: per i mezzi di ricerca della prova non possono valere gli stessi parametri utilizzati per l’emissione di una condanna. È come dire che le intercettazioni non si devono fare. È una legge che quindi comprime l’indipendenza e l’autonomia dei pm. Viola l’obbligatorietà dell’azione penale e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Impedisce l’accertamento del crimine. Non credo che significhi parlare a vanvera o peccare di lesa maestà, se si chiede al presidente della Repubblica di non promulgarla.

Da il Fatto Quotidiano del 19 giugno

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