ROMA - Silvio Berlusconi torna sulle inchieste che hanno coinvolto membri dell'esecutivo ed esponenti della maggioranza. Incalzato da alcuni imprenditori che nel corso di una cena a Palazzo Grazioli parlavano di nuova Tangentopoli, il premier ha parlato di "comportamenti di singoli, tutti da dimostrare, che non possono indebolire il governo". Certo, ha aggiunto, "se dovesse emergere che qualcuno ha sbagliato ne pagherà le conseguenze con l'uscita dal governo o dal partito". Nel corso di questo ragionamento, secondo uno dei presenti, Berlusconi si sarebbe detto deluso dall'ex ministro Claudio Scajola.
Che quella in corso non sia una nuova Tangentopoli lo crede anche il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, che però, riferendosi all'inchiesta sul G8 all'uscita del Consiglio dei ministri ha detto: "Mi sembra un po' strana, un po' preparata, ho questa impressione". A chi gli chiedeva se il governo rischia per le inchieste, Bossi ha risposto: "Se portano via tutti i ministri sì. Ma fin quando ci siamo io, la Lega e Tremonti, il governo non rischia, non lo buttano giù". E poi ha concluso scherzando: "La situazione è brutta. Meglio prendersi un appartamento in affitto con qualche bella donna".
Il timore che ora le inchieste possano colpire altri ministri, sino alle dimissioni, è rafforzato dalla convinzione che in molte delle indagini ci siano parecchi dati non emersi. «Sono solo all'inizio», è la previsione del capo del governo, inviperito a tratti, e forse per la prima volta, più con gli uomini a lui vicini che con le toghe che di solito accusa. Ovviamente la convinzione che i tempi, i modi, le fughe di notizie, appartengano a un disegno organizzato resta una cornice dalla quale Berlusconi non si muove. Ma a differenza del passato, lo ha anche dichiarato, non esiste una congiura, almeno non solo quella. Se alcuni ministri finiscono sotto la lente dei magistrati può anche essere una manovra indiretta per colpire lui, ma di fronte a modalità illecite, o inopportune, che vedono l'emissione di assegni circolari è difficile individuare i soliti magistrati con in mano la falce e il martello al posto del codice di procedura. E Berlusconi è il primo a saperlo.
La storia delle dimissioni di Scajola è anche quella dell'addio improvviso del capo, in modo riservato, al proprio ministro. Ma se altri casi arrivassero, se venissero colpiti «altri tre o quattro» esponenti del governo, allora sarebbe molto difficile coniugare gli avvicendamenti con la stabilità del governo e con il cuore della sua comunicazione classica: il suo partito che porta una nuova moralità, che mantiene gli impegni, che non ha bisogno della politica per mantenersi perché non la fa per professione. Anche questo sa bene il Cavaliere. «Se altri tre o quattro» può essere un esercizio retorico, ma svela sia la consapevolezza di non poter mettere la mano sul fuoco sugli esponenti del governo che presiede sia la paura di non riuscire a parare il colpo se arrivassero veramente altre ombre su Palazzo Chigi. La crisi di governo, di fronte ad «altri tre o quattro», sarebbe a quel punto inevitabile, è il resto del ragionamento. E se uno scenario può essere evocato anche solo per esorcizzarlo, di certo però, negli ultimi giorni, complice una distanza con Fini che non accenna a diminuire, il presidente del Consiglio avverte la necessità di uno scarto politico: a chi lo ascolta, anche ieri, nelle tante riunioni tenute e Palazzo Grazioli, capita sempre più spesso di apprendere della possibilità di «una collaborazione», auspicata imminente, con Francesco Rutelli e Pier Ferdinando Casini. Con quali modalità è ancora poco chiaro. Molto dipenderà anche dall'appuntamento di Todi, fra pochi giorni: l'Udc forse cambierà nome, diverrà partito della Nazione, cercando nel concetto di responsabilità nazionale un nuovo inizio. «E io subito dopo lancerò un appello», aggiungeva ieri pomeriggio il Cavaliere, con l'auspicio che il concetto possa far convergere in qualche modo Pdl e Casini. Un quadro in cui ovviamente le inchieste verrebbero derubricate a fattori privi di conseguenze significative. Come i timori, in quel caso infondati, di un premier oggi molto preoccupato.
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