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Intercettazioni, la linea dura del Pdl Nella legge bavaglio per i giornalisti


ROMA - Contro i giornalisti, e quindi contro gli editori, la maggioranza compatta non molla di un millimetro. Anzi, se potesse, inasprirebbe ancora di più la riforma delle intercettazioni. Resterà rigida la regola per cui delle telefonate sbobinate non si potrà più pubblicare una riga, neppure per riassunto, fino alla chiusura delle indagini preliminari. Cioè, magari, per anni. Addio diritto di cronaca su inchieste come quelle di Firenze, di Trani o di Calciopoli, solo per citare le ultime raccontate dai giornali. Sul resto il governo qualcosa è disposto a cedere, ma sul bavaglio alla stampa no.

La conferma arriva dal presidente del Senato Renato Schifani che incontra le toghe dell'Anm giusto mentre, in via Arenula, politici e tecnici mettono a punto le modifiche alla legge sugli ascolti. C'è il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il relatore Roberto Centaro, il direttore dell'ufficio legislativo Augusta Iannini. Il Guardasigilli Angelino Alfano fa capolino. Il nuovo testo dovrà essere pronto per oggi alle 14 per essere depositato in commissione Giustizia a palazzo Madama. Da Schifani, come dalla riunione, ecco la netta conferma del pugno duro contro la stampa: niente telefonate sui giornali o recitate in tv, nemmeno per sintesi. Un totale black out. Multe agli editori, fino a 500mila euro, se ne consentono la pubblicazione.

Almeno su questo Berlusconi ha imposto il divieto di trattative o cedimenti. Passi sugli "evidenti indizi di colpevolezza" che diventano "gravi indizi di reato", per via di Napolitano che minaccia di rimandare la legge alle Camere se il testo resta identico. Ma sulla pubblicazione degli ascolti il Cavaliere ha un "alleato" nello stesso presidente della Repubblica, cui le paginate di verbali non sono mai piaciute. E dunque avanti, multe più salate di oggi, fino a 10mila euro per una telefonata finita in pagina ("solo" 5mila per un altro atto del procedimento), carcere fino a un anno se si pubblicano ascolti destinati alla distruzione.

Sul resto il premier qualcosa molla. Il presidente dell'Anm Luca Palamara, fuori dallo studio di Schifani, parla di "apertura positiva". Si riferisce ai "gravi indizi di reato", la formula già presente oggi nel codice di procedura penale, che per le toghe fa venir meno l'incubo degli "evidenti indizi di colpevolezza", formula che avrebbe bloccato qualsiasi indagine. Il presidente del Senato non anticipa di più, ma il resto delle modifiche non copre di certo la mole di critiche di giudici e giuristi alla riforma. A cominciare dai paletti rigidi che circonderanno i "gravi indizi di colpevolezza". Come la stretta sulle utenze che dovranno essere "intestate" agli indagati o comunque da essi "utilizzate" o dai limiti rigidi ad allargare, pur di poco, la sfera degli intercettati.

Per il resto le maglie si allargano di poco. Di certo si ampliano per i parlamentari, attuando subito un paio di recenti sentenze della Consulta (113 e 114): quando qualcuno di loro ricadrà per caso in un ascolto, il magistrato avrà il dovere di chiedere subito l'autorizzazione (e quindi mettere nel nulla l'ascolto medesimo visto che con la richiesta cade anche qualsiasi segreto). Ma su norma transitoria, durata, microspie, tabulati, autorizzazione del tribunale collegiale, le modifiche sono minimali. In alcuni casi inesistenti. Alla fine i falchi hanno vinto sulle colombe. Ad esempio la legge entrerà in vigore sì solo per i processi futuri, ma quelli attuali avranno solo tre mesi di tempo per mettersi in regola. La durata rimane di 60 giorni al massimo (salvo casi eccezionalissimi). Per mettere le microspie ci vorrà la prova che in quel luogo si sta commettendo un reato. La richiesta dei tabulati telefonici dovrà obbedire alle stesse regole delle telefonate. E toccherà a un tribunale di tre persone autorizzare quello che prima passava per le mani di un solo giudice. Con quale dispendio di tempo e di energie si può immaginare fin d'ora. Buonanotte, intercettazioni.

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