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Gino Strada ed Emergency querelano Libero e il Giornale


MILANO - Finalmente in Italia 1, Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani, raccontano la loro esperienza con la polizia afgana, che li trattenuti nove giorni sospettandoli di collaborare con i terroristi per poi rilasciarli scagionati da ogni accusa 2. Gli operatori hanno incontrato i giornalisti questa mattina nella sede di Emergency, a Milano. Siamo stati trattati "con umanità e rispetto", ha detto Dell'Aria, che ha anche parlato di un complotto contro l'ong perché ha fatto conoscere al mondo gli orrori della guerra.

Gino Strada si è scagliato contro Il Giornale e Libero annunciando di aver querelato i due quotidiani. Aprendo la conferenza stampa, Strada ha segnalato l'apertura dell'inchiesta per calunnia 3 contro ignoti da parte della Procura di Roma. Quindi ha ricordato che calunnie nei confronti dei tre operatori e di tutta Emergency sono state sollevate anche in Italia. A questo proposito ha mostrato due prime pagine del Giornale di Vittorio Feltri con titoli che annunciavano le confessioni da parte dei tre operatori dell'ong. "Questa - ha detto Gino Strada - è spazzatura. Adesso ci aspettiamo che facciano un titolo a tutta pagina con la scritta 'Liberi, sono innocenti'. Non lo faranno - ha proseguito - andranno avanti a fare il loro sporco mestiere. Abbiamo querelato anche la mini spazzatura che è Libero".

Strada ha quindi assicurato che il primo obiettivo di Emergency ora è quello di riaprire l'ospedale di Lashkar-gah, per continuare a curare i feriti. "Stiamo avendo contatti con le autorità afgane dalle quali abbiamo ricevuto solidarietà" ha detto. "Il responsabile di Emergency in Afghanistan ieri ha incontrato il vicepresidente che ha garantito l'impegno per la riapertura dell'ospedale". Alla domanda se temono per la sicurezza, dopo ciò che è accaduto, e se stanno organizzando un diverso sistema per garantire l'incolumità a tutti, Strada ha replicato: "Non possiamo certo chiedere al nostro governo di mettere parte dei militari attorno al nostro ospedale che, in questo caso, diventerebbe un bersaglio. Stiamo comunque valutando tutte le condizioni di sicurezza anche per capire chi ha organizzato questa sporca provocazione".

Poi ha lasciato la parola ai tre operatori. "Anche nei posti peggiori - ha raccontato Marco Garatti - puoi trovare una grande umanità". Matteo Dall'Aira conferma, e ha quindi raccontato che al momento dell'arresto nessuno di loro si è reso veramente conto di cosa stava accadendo: "Ho pensato molto alla mia famiglia e adesso sto scoprendo il grande affetto di tutto il popolo di Emergency, per noi di grande conforto". Garatti ha invece parlato del il pensiero fisso dei nove giorni di detenzione: "Pensavo che sarei potuto anche non uscire ma nello stesso tempo mi dicevo che sarei uscito con i miei compagni dopo un'ora. In carcere ci hanno anche chiesto se volevamo un legale, abbiamo detto di sì ma non abbiamo mai visto alcun legale". Matteo Pagani, in collegamento video da Roma, non si è ancora dato una spiegazione del perché di questo arresto: "Non dimentichiamoci - ha detto - che ciò che è stato fatto a noi è stato fatto anche ai cittadini afgani e ciò che è grave è stato chiuso l'ospedale. I pazienti non hanno più nessuna cura e nessuno può aiutarli". Pagani sui suoi giorni di detenzione ha ammesso di avere avuto paura: "In quelle condizioni non è facile pensare. Si può pensare positivo e illudersi e ci si fa del male. Io pensavo alla mia famiglia e ai miei amici e questo era molto di conforto".

Matteo Dell'Aira è convinto che sia stato ordito un complotto contro Emergency che in Afghanistan oltre a curare i feriti ha fatto conoscere al mondo gli orrori della guerra. "Prima del 10 aprile, giorno dell'arresto - ha spiegato - non abbiamo avuto alcuna avvisaglia. E' probabilmente corretto dire che è accaduto perché abbiamo raccontato la guerra. Ha dato fastidio perché abbiamo raccontato a tutti le storie dei nostri feriti, il 40% dei quali sono bambini. Questo non va dimenticato. Non si raccontano più le barzellette sulla guerra. Cito una frase che non è mia però è significativa e cioè 'la guerra è odore di sangue, di morte e di merda'. Molti parlano senza mai aver visto i feriti".

Il chirurgo Garatti si è detto addolorato per ciò che ha letto in questi giorni una volta giunto in Italia. "Fa più male dell'essere stato in carcere. Su di noi sono state scritte cose infamanti. Il giorno del mio compleanno ho visto i due ambasciatori che hanno chiesto a me, ma anche ai miei compagni, cosa chiedevo. A loro ho detto che volevo uscire a testa alta. Così è stato perché non volevamo uscire spinti dalla diplomazia. Poi ho scoperto che si è cercato di buttare addosso fango a noi e a Emergency. Per questo, per quanto mi riguarda, chi è responsabile pagherà".

"Noi non facciamo politica - ha detto il chirurgo rispondendo alle accuse fatte all'ong - descriviamo quello che succede. Per noi un attentatore suicida non è peggio o meglio di chi scarica bombe perché entrambi fanno morti. Noi non abbiamo mai preso posizione per una o per l'altra parte". Garatti ha quindi spiegato di aver avuto paura. "Siamo stati accusati - ha spiegato - di aver saputo che nel nostro ospedale erano entrate delle armi e che noi sapevamo di questa cosa perché eravamo in contatto con i talebani. L'accusa si basava su dati di fatto nulli e risibili". Garatti ha quindi spiegato di non sapere o comunque di non essersi ancora dato una spiegazione su chi possa avere organizzato il complotto contro Emergency: "Siamo stati liberati e di questo siamo orgogliosi e fieri per noi e per tutta Emergency".

Alla domanda se durante gli interrogatori in Afghanistan fosse stato fatto riferimento al rapimento del giornalista 4 di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, Garatti non ha nascosto un sorriso ironico: "è stato scritto anche questo, per cui ho saputo di essere diventato ricco. Ho saputo di aver ricevuto dei soldi. Peccato che quando c'è stato il rapimento di Mastrogiacomo io ero in Sierra Leone a lavorare in un altro ospedale di Emergency". "Non so - ha concluso Garatti - se il rapimento di Mastrogiacomo è una scheggia dolente rimasta nelle scarpe dei servizi segreti afgani".

Fonte: Repubblica.it

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