MILANO — Paol

Raffaelli è indagato per «false fatturazioni» per quasi 1 milione di euro, rivelate dall'imprenditore Eugenio Petessi, che ha spiegato di avergli fatto da sponda nella creazione di provviste di denaro. Ed è Petessi a riferire che Raffaelli avrebbe fatto avere 550.000 euro a Paolo Berlusconi tramite un intermediario in rapporti con tutti e tre: Fabrizio Favata, che, secondo quanto Petessi dice gli veniva raccontato da Raffaelli e Favata (che però potrebbe in teoria aver mentito per tenere per sé i soldi), dal 2005 e fino all'estate 2006 avrebbe portato una volta al mese a Paolo Berlusconi, nella sede de Il Giornale a Milano, una busta con 40-50 mila euro in contanti. Raffaelli era già indagato nell'inchiesta del pm Massimo Meroni coordinata dal procuratore Manlio Minale, ma per «accesso abusivo a sistema informatico», nell'ipotesi che con Favata abbia portato a Paolo e a Silvio Berlusconi, alla vigilia di Natale 2005 ad Arcore, le allora segrete intercettazioni dell'indagine Bnl-Unipol tra il presidente di Unipol Giovanni Consorte e il segretario dei Ds Piero Fassino, pubblicate una settimana dopo da Il Giornale benché in quel momento non fossero ancora depositate agli atti e addirittura neppure sbobinate dalla Gdf. L'inchiesta sembra procedere con prudenza, anche perché l'intreccio romanzesco vede protagonisti non proprio lineari.
Raffaelli, l'uomo dell'azienda privata di intercettazioni più gettonata all'epoca dalla Procura, per negare fatture false sostiene invece d'aver pagato a una agenzia i corrispettivi pattuiti per «pubbliche relazioni», come il contatto con Favata che avrebbe a sua volta portato il contatto con Paolo Berlusconi: ad Arcore ci siamo andati, dice, ma solo per gli auguri. Petessi è l'ex amministratore di una società con grosse commesse dal Comune di Milano nelle affissioni pubblicitarie, ma in passato fu arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla truffa di imprenditori, spinti da finti finanzieri a pagare abbonamenti a finte riviste di polizia. E Favata, pure con guai giudiziari alle spalle e in gravi difficoltà economiche, dall'estate 2009 vagava tra giornalisti (Espresso e Unità), avvocati di Berlusconi (Ghedini) e politici anti-Berlusconi (Di Pietro, che il 3 ottobre lo raccontò ai pm) offrendo «verità» con atteggiamento ondivago tra parvenze di ricatto e proclami di rivalsa. Salvo poi, però, avvalersi della facoltà di non rispondere davanti ai pm.
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