ROMA - "L'Aquila muore se continua ad essere lasciata sola. Dopo il terremoto del 6 aprile scorso, le macerie sono ancora a terra, salvo qualche rara eccezione. La gente, ancora costrettaa vivere lontana dalle loro case,è giustamente esasperata. Ormai non si può far più finta di niente". Grido di allarme di un vescovo, Giovanni D'Ercole, in difesa del capoluogo abbruzzese a quasi un anno dal sisma. Ausiliare e vicario generale della diocesi aquilana retta dall'arcivescovo Giuseppe Molinari, D'Ercole è l' "uomo" che il Vaticano ha inviato all'Aquila per affiancare il vescovo locale nella ricostruzione delle chiese distrutte dal terremoto.
Missionario orionino con anni di esperienza maturata in Africa, giornalista - in Vaticano è stato vice direttore della Sala Stampa e capo ufficio in Segreteria di Stato - D'Ercole non disdegna il contatto diretto con fedeli, gente comune, credenti e non credenti. Come ha già dimostrato all'Aquila, dove anche oggi sarà nuovamente accanto al "popolo delle carriole" che tornerà a protestare per le macerie che ancora ostacolano il centro storico. "Sarò ancora accanto ai miei concittadini - confida il vescovo - per dare una mano, ma anche per cercare di non far calare il silenzio sui tanti problemi che ancora gravano sulla città".
Monsignor Giovanni D'Ercole, anche oggi, quindi, lei torna ad unirsi a chi protesta all'Aquila?
"Più che protestare, con questa iniziativa del popolo delle carriole la gente esprime la sua voglia di partecipazione, per cercare di attirare l'attenzione sulle grandi attese della città ancora costretta in ginocchio dalle ferite del terremoto. Qui la popolazione ha voglia di ricostruzione e sgomberare il centro storico dalle macerie è il primo importante passo".
Eppure, domenica scorsa lei è stato oggetto di fischi e di proteste. Come mai? "Quella contestazione è stata un grido di allarme e di amore, rivolto non tanto alla mia persona, ma alle istituzioni. Qualcuno si è fatto sentire forse spinto anche dal timore che anche la Chiesa potesse dimenticare le sofferenze degli aquilani. Ebbene, io come vescovo ho fatto mio quel grido di dolore e starò sempre vicino alla mia gente. Anche quando si lamenta ad alta voce".
Ma, in concreto, cosa chiede il popolo delle carriole?
"Vuole la sua città così come era prima, ma sembra un sogno che sta morendo giorno dopo giorno. Non voglio dire che non sia stato fatto niente dopo il 6 aprile 2009. In verità, per l'emergenza è stato fatto tanto. Ma per la ricostruzione quasi niente. Anzi, sembra che tutto si sia fermato. La gente è stata messa in 21 newtown prefabbricate, ma delle case da ricostruire nessuno parla. Certo, le tende non ci sono più. Ma non ci sono nemmeno le case e la popolazione vive sradicata, in aree periferiche, prive di servizi, con nuclei familiari divisi, lontani dagli affetti e dagli originari agglomerati abitativi. Mentre ancora 20 mila persone vivono negli alberghi. In giro c'è tanta sofferenza e tanto timore che, dopo l'emergenza, tutto venga gettato nel dimenticatoio. Ecco perché la popolazione vuole tornare a riappropriarsi della ricostruzione e del rilancio dell'intera città. Come vescovo non posso non essere preoccupato anche per la vita della Chiesa aquilana, per la mancanza di oratori e di luoghi di aggregazione. Anche se qualche segnale positivo non è mancato, come il restauro della chiesa di S.Biagio in Amiterno riaperta il 15 marzo scorso. Ma l'Aquila deve risorgere. Completamente".
Fonte: Repubblica.it
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