ROMA - "Ci dicono che la fusione tra Telecom e Telefonica non è più evitabile". Fino a poche settimane avevano resistito. Avevano anteposto il principio dell'"italianità" a quello delle compatibilità aziendali. Ma alla fine gli uomini del governo e di Palazzo Chigi hanno deciso di scendere a patti. Accettando il progetto di "matrimonio" tra il colosso telefonico spagnolo e quello italiano.
Controllo agli spagnoli ma gestione italiana per la rete
Dando il via libera all'Offerta pubblica di Scambio che la società di Madrid è intenzionata a formulare in tempi piuttosto brevi. Nel "contratto di convivenza", però, i rappresentanti del premier esigeranno una "farcitura" di condizioni e paletti. Tutti concentrati su unico aspetto: la gestione e lo sviluppo della rete. L'infrastruttura strategica che rappresenta il valore principale dell'azienda guidata da Franco Bernabè.
Nei prossimi giorni, allora, (i contatti inizieranno forse già oggi ma i colloqui si dovrebbero svolgere al ritorno di Scajola da Israele), l'esecutivo convocherà i vertici di Telecom Italia. Il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, insieme al sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, e al viceministro, Paolo Romani, chiamerà l'ad Bernabè e il presidente Gabriele Galateri, per spiegare la posizione del governo. Un incontro, solo formalmente di cortesia - i ministeri non hanno ormai alcuna competenza diretta nella governance di Corso d'Italia - ma che costituisce un passo pesante: nessun imprenditore straniero può investire in un settore così delicato e "sensibile" senza il via libera di Palazzo Chigi. E in questo faccia a faccia gli uomini del presidente del consiglio annunceranno a Bernabè la disponibilità ad accettare la "fusione".
Un orientamento fino ad ora negato. Il Cavaliere non ha mai nascosto la sua contrarietà a perdere il controllo sulla telefonia nostrana e soprattutto sulla rete che amministra tutte le comunicazioni sull'intero territorio. Nell'ultimo anno sono state valutate una serie di opzioni per allontanare lo spettro iberico: dallo scorporo della rete all'ingresso di un socio italiano in grado di sostituire il partner spagnolo. Alternative che si sono rivelate impraticabili. Nelle settimane scorse era stato esaminato addirittura uno scambio azionario tra Telefonica e Mediaset: scartato per una questione di opportunità "politica" ma anche per la difficoltà a reperire i finanziamenti sufficienti per il conguaglio in grado di compensare un concambio paritario. "Adesso - ripetono allora a Palazzo Chigi - ci dicono che la fusione tra Telecom e Telefonica non è più evitabile".
Gli uomini di Berlusconi stanno dunque predisponendo un pacchetto di richieste per "vincolare" la fusione e blindare il futuro della rete che necessita fondi poderosi per ammodernarla e farla approdare alla "Infrastruttura di Nuova Generazione". In sostanza l'esecutivo italiano vuole che l'operazione venga accompagnata da "garanzie" sulla governance della nuova società e sulla "gestione" della rete. In particolare vorrebbero la previsione di una circostanziata serie di "patti parasociali" in grado di fornire le "garanzie" richieste. I soci italiani (Generali, Mediobanca, Intesa) dovranno quindi essere coinvolti ai massimi livelli nell'amministrazione apicale del "colosso" e nelle scelte strategiche, a partire dal Consiglio di amministrazione. A Palazzo Chigi gradirebbero addirittura la costituzione di una società ad hoc per la gestione della rete (controllata integralmente da Telefonica) affidata a management italiano. In più suggeriranno una clausola di "lock up" per evitare che i partner italiani rinuncino in tempi troppo brevi al loro pacchetto azionario.
Sta di fatto che Palazzo Chigi è pronto ad accendere con Bernabè il "disco verde". Un segnale, del resto, che a Madrid è già in parte arrivato. A dicembre scorso Piersilvio Berlusconi e Fedele Confalonieri incontrarono il primo ministro spagnolo Zapatero per discutere dell'affare Prisa. E in quell'occasione - forse non a caso -, contestualmente all'ingresso di Mediaset nel mercato televisivo di Madrid, il capo del governo iberico sfiorò il tema Telefonica assicurando il suo impegno sulla difesa della "italianità" della rete Telecom.
Da qual momento l'esecutivo di Roma ha sospeso le risorse da impegnare per la ristrutturazione della rete e il presidente della compagnia telefonica spagnola, Cesar Alierta, ha iniziato a predisporre una Offerta pubblica di scambio per la totalità della ex Sip. Sul tappeto intende poi stendere - se Palazzo Chigi darà l'avallo finale - un percorso di questo tipo: costituire una Holding (Telecom Europa) che controllerà le due società. Criteria (finanziaria controllata dal gigante bancario Caja Ahorros), secondo azionista di Telefonica con il 5,1% - il primo è il Banco Bilbao con il 5,3% - si fonderà con Telco per costituire il "nocciolino" di controllo di Telecom Europa.
Certo, le preoccupazioni nel governo italiano persistono. Sulle linee telefoniche "corrono" dati sensibili: difesa, sicurezza, intercettazioni, protezione civile. E in futuro sugli stessi "binari" correrà la televisione, settore tanto caro al Cavaliere. Per di più lo scambio azionario proposto da Alierta non potrà certo essere vantaggioso per i soci nostrani. Basti pensare che la compagnia italiana conta su una capitalizzazione di 14,5 miliardi e quella spagnola di 83 miliardi. Senza dimenticare che i "patti parasociali" hanno una durata triennale. Tant'è che a Palazzo Chigi c'è anche chi non esclude che questo possa essere il momento per concentrare gli sforzi per la costruzione di una nuova rete "pubblica" a fibra ottica.
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