«Il legittimo impedimento? Il prezzo da pagare per staccare la spina dalle continue fibrillazioni tra Silvio Berlusconi e la magistratura. Un prezzo tutto sommato giusto». Di ritorno dal viaggio negli Usa dove - escluso Obama - ha incontrato tutto l’incontrabile dei vertici americani, ai polsi i gemelli con lo stemma del Congresso e negli occhi l’immagine di John Kerry che «mi ha fatto vedere con orgoglio il bastone col pomo d’argento che gli aveva dato Ted Kennedy, un cimelio di famiglia che appartenne a John e ancora prima a Joseph», il presidente della Camera torna con la testa sulle questioni italiane. Lo fa con la prudenza di chi ha recuperato, dopo mesi di guerra, il filo di un dialogo con Berlusconi (si sono sentiti anche in questi giorni) e ora dice che in fondo «quando ci si parla, i nodi si affrontano». Lo fa con l’occhio distaccato che si può permettere l’inquilino di Montecitorio, ma anche col senso pratico del politico navigato che sa essere le questioni più spinose rimandate a dopo le Regionali. «Solo ad aprile si vedrà se ci sono le condizioni, un nuovo clima per fare le riforme, magari recuperando lo spirito di inizio legislatura», dice.
Primo passo, sostiene Fini, è proprio il legittimo impedimento: quello che per l’opposizione è l’ennesima legge vergogna, con l’occhio del co-fondatore del Pdl è «il giusto prezzo» per superare il conflitto premier-giudici che monopolizzava i pensieri e l’attività di governo. Una «legge ponte» che, dal punto di vista della logica salva-Cavaliere, potrebbe portare a un lodo Alfano costituzionale, o meglio ancora al «ripristino dell’immunità», anche se «non sarà più possibile tornare al vecchio articolo 68». In ogni caso il «giusto prezzo» appena approvato alla Camera è «una legge a termine», della quale i profili di incostituzionalità - già rilevati da più parti - sono in fondo un problema secondario: «Tanto è chiaro che il fine è temporaneo». Un’eventuale bocciatura della Consulta arriverebbe insomma sufficientemente in là, con la legge già superata nei fatti da un più potente scudo: e a quel punto si potrà buttare pure il bambino con l’acqua sporca. Per di più, il sì al legittimo impedimento permette di accantonare l’horribilis processo breve. E infatti, il provvedimento dorme il sonno dei giusti: «In commissione Giustizia, dove è approdato il ddl, la Bongiorno ha previsto audizioni fino al 30 giugno. Poi c’è l’estate... insomma il percorso mi sembra chiaro», spiega Fini. Il binario morto.
Tutta questa tattica sul fronte giustizia permette, dice Fini, di guardare con più serenità al dopo regionali. «Si aprirà una finestra per fare le riforme, anche grazie al fatto che non ci saranno più elezioni in vista», prevede: «E se si accantona l’idea di una unica grande riforma, che potrebbe poi schiantarsi di nuovo contro il referendum, e si percorre la strada dei singoli ddl, ci sono buone probabilità». Anzitutto per arrivare al Senato federale, spiega l’ex leader di An, più scettico sulla possibilità di intervenire «sul tema dei rapporti tra esecutivo e Parlamento» e sulla possibilità di affrontare a breve la legge elettorale: «Andrebbe modificata, ma è tema che tipicamente si affronta a fine legislatura». Proprio il Senato federale, spiega, insieme con i «decreti di attuazione del federalismo fiscale» sarebbero «l’anello mancante» per costruire l’edificio tanto caro alla Lega. Ed è la necessità di completare la riforma, la chiave di volta che porta Fini ad essere fiducioso sulla tenuta della maggioranza.
«Alle regionali il successo della Lega è scontato, bisognerà vedere come Bossi lo vorrà giocare. Però lui, da vecchia volpe, non credo scuoterà l’albero dei rapporti col Pdl: il suo obiettivo è portare a casa il federalismo. Ergo, la legislatura prosegue in tranquillità». Al contrario di Berlusconi, che ha tuonato fulmini contro «i due forni» centristi, Gianfranco Fini è tutt’altro che critico nei confronti di Casini. Ammirato, al limite. «Una volta fatta la scelta di andare da solo, il suo comportamento è conseguente, quasi scontato. Quel che lo rafforza è appunto essere attaccato sia di qua, che di là. E, del resto, su queste Regionali, rinunciare a un assessorato in Lombardia e a uno in Puglia gli ha permesso di tenere una condotta chiara: niente alleanza al Nord con la lega, nessuna alleanza al Sud con un centrosinistra modello Prodi». Pur avendo tutta l’aria di uno che non ha affatto intenzione - anche in futuro - di togliersi di dosso l’abito istituzionale che indossa (vedasi ambizioni quirinalizie), Fini guarda con interesse le sfide per le regionali. Registra con attenzione le «molte difficoltà e gli scontri interni che si producono nel Pd» perché «se l’opposizione va in crisi, ci sarebbero ripercussioni su tutto il sistema», ossia anche sul Pdl. Osservato speciale al nord è Roberto Cota, «perché sarà interessante capire se la Lega riesce a conquistare Torino, che non scorda di essere stata la prima capitale d’Italia», mentre al sud l’attenzione si appunta giocoforza sulla Puglia: l’ex leader di An vorrebbe non darlo a vedere, ma la battuta tagliente riservata alla Poli Bortone lo tradisce («voleva le primarie? Per il centrodestra o per il centrosinistra?»). La sfida che lo intriga di più, quella tra Polverini e Bonino:
«Finora ho visto un certo fair play, se continuano così saranno un esempio che rimane, soprattutto per noi maschietti: la dimostrazione che la campagna elettorale può anche non essere un’ordalia». Ritiene che, «nonostante sconti ora un gap di notorietà», l’ex numero uno dell’Ugl recupererà. E, sottolinea, «non saranno le posizioni sulle coppie di fatto a danneggiarla»: «Non è su queste questioni che l’elettorato cattolico sceglie. Né coppie di fatto, né biotestamento». A proposito, anche il ddl Calabrò tornerà in vita dopo il letargo Regionali? «Mah, su una questione così delicata ci vuole una sensibilità che finora è mancata», dice Fini: «Una legge così non si può fare giocando sull’emotività: perché allora è meglio non farla proprio, e lasciare che sia il giudice a decidere sui singoli casi».
Fonte: Unita.it
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