MILANO — Accesso abusivo a sistema informatico nel 2005, rivelazione di segreto d’indagine, corruzione: sono le ipotesi di reato iscritte nell’inchiesta-bis che la Procura di Milano, dopo aver fallito all’epoca l’individuazione del pubblico ufficiale «talpa», sta conducendo dal 3 ottobre a partire da una denuncia di Antonio Di Pietro sui retroscena della fuga di notizie nell’indagine Antonveneta: «spiffero» culminato nella pubblicazione il 31 dicembre 2005, su Il Giornale di proprietà del fratello di Silvio Berlusconi (Paolo) e della Mondadori, di una intercettazione del luglio 2005 tra il n.1 di Unipol Giovanni Consorte e l’allora leader (Piero Fassino) del partito (Ds) contrapposto a quello di Berlusconi. Un’intercettazione che in quel momento non solo non era depositata agli atti, né trascritta e neppure riassunta, ma esisteva solo allo stato naturale di file audio noto esclusivamente ai pm e alla Gdf.Da mesi un imprenditore con disavventure giudiziarie alle spalle, Fabrizio Favato, propone a giornalisti, magistrati, avvocati e politici la sua verità: lui e l’amministratore (Roberto Raffaelli) della Research control system , società che svolse le intercettazioni per i pm, sarebbero andati ad Arcore la vigilia di Natale 2005 recando in dono a Paolo e Silvio Berlusconi la telefonata pubblicata 7 giorni dopo da Il Giornale . A cavallo dell’estate 2009 — con atteggiamento ondivago tra parvenze di ricatto e cenni di vendetta per asserite promesse non mantenute — Favato va a Milano in un settimanale, va a Roma in un quotidiano, ma non sortisce effetti. Va da due pm dell’antimafia milanese ai quali tratteggia invece un’altra storia che si riallaccia al sequestro nel 2007 (sventato in extremis dall’arresto dei rapitori) di un ex socio di Paolo Berlusconi, ma si rifiuta di verbalizzarla. Va da un altro pm, stavolta del pool finanziario, ma ancora rifiuta il verbale. Va dallo stesso Raffaelli.
Va da un avvocato dello studio padovano dell’on. Niccolò Ghedini, il legale di Berlusconi ieri fiducioso che «le indagini dimostreranno la totale estraneità alla pubblicazione» dei fratelli Berlusconi. E va dal leader dell’Idv, Di Pietro. Sabato 3 ottobre l’ex pm del pool Mani pulite si presenta dai suoi ex colleghi, al pm di turno dice di voler fare una denuncia, viene indirizzato al procuratore aggiunto di turno (Targetti), e gli riferisce a verbale il racconto prospettatogli da Favato. Sulla base di questa denuncia di Di Pietro, il pm De Pasquale imposta gli atti urgenti d’indagine, trasmessa al procuratore Minale al suo ritorno in ufficio da una decina di giorni di assenza, e infine assegnata a un pm (Meroni) del pool reati contro la pubblica amministrazione. Solo che Favato, tanto loquace con gli altri, di fronte ai magistrati si avvale della facoltà di non rispondere: suo figlio, avvocato che ne assume la difesa, subisce in studio una perquisizione (come non indagato) che non trova il file audio.
E Raffaelli? Ieri, con i suoi nuovi difensori Luigi Liguori e Alessandro Campilongo, ha chiesto un rinvio dell’interrogatorio sull’accusa di accesso informatico abusivo. Ma nel suo entourage imprenditoriale nega di essere stato la «talpa»; e sostiene che l’incontro di Arcore ci fu davvero, ma che avrebbe avuto a oggetto solo il progetto commerciale di una espansione della sua società sul mercato istituzionale in Romania, per la quale puntava all’interessamento di Berlusconi in ottimi rapporti con l’allora primo ministro romeno.
Fonte: Corriere.it
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