Le piccole e medie imprese, i consumatori e gli operatori della comunicazione reclamano la necessità di investimenti in infrastrutture tecnologiche indispensabili per l'economia del Paese. E con un appello indirizzato al governo rispondono ai tagli agli stanziamenti, annunciati e poi smentiti, per la diffusione della banda larga in Italia.
Nell'appello, firmato da aziende operanti nel campo della tecnologia, della comunicazione e dell'editoria insieme a molte associazioni di consumatori, si legge: "La banda larga non è un'opzione facoltativa ma un'infrastruttura necessaria per lo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese". Il documento arriva all'attenzione del governo dopo il 'congelamento' imposto da Gianni Letta ai fondi destinati a colmare il "digital divide" italiano, lo scarto che c'è tra le infrastrutture tecnologiche presenti nel nostro Paese e quelle che sarebbero invece necessarie in un contesto moderno. La somma era di 1,4 miliardi di euro, di cui 800 milioni da reperire nei fondi europei del Fas. Ma Letta ha stabilito altre priorità, dettate dalla presente situazione economica. In questo momento, dice il governo, quei soldi possono essere utilizzati per gli ammortizzatori sociali.
Eppure l'Italia rischia davvero di rimanere indietro. La preoccupazione è trasversale e va dai semplici cittadini fino alle grandi aziende della comunicazione.
"Il governo - si legge nell'appello - ha sempre ribadito l'importanza del superamento del digital divide, tramite investimenti in nuove tecnologie e sviluppo della banda larga, come volano per il rilancio della competitività per le pmi italiane, l'avvicinamento della pubblica amministrazione ai cittadini e la creazione di posti e opportunità di lavoro". La richiesta finale è una rapida approvazione da parte del Cipe delle risorse per lo sviluppo della banda larga.
Assieme alle aziende ed ai consumatori, a manifestare dissenso nei confronti del blocco agli stanziamenti ci sono anche Confindustria e sindacati. La prima richiede al più presto un programma di innovazione industriale italiano per lo sviluppo di piattaforme digitali a sostegno di tutti i settori produttivi nazionali. Fabrizio Solari, segretario confederale della Cgil, attacca: "Ancora una volta si dimostra come il governo non abbia idee chiare su come far uscire il nostro Paese dalla crisi. La banda larga serve alle imprese per svilupparsi, alle famiglie per rapportarsi alla Pubblica amministrazione, e ai giovani per studiare e utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione"
Affermazioni e richieste difficili da derubricare, in un momento in cui Internet e i servizi di comunicazione e informazione disponibili per via telematica conoscono un buon momento a dispetto della crisi economica. E che oltre all'occupazione di chi materialmente realizzerà le reti, produrrebbero in tempi rapidi nuovi servizi e opportunità occupazionali a più livelli. Insomma la rete non è il futuro, è il presente. E le imprese italiane cercano di far capire al governo che sarebbe meglio non diventasse un'opportunità del passato.
Dal fronte del governo, è arrivata una dichiarazione possibilista del sottosegretario alle comunicazioni, Paolo Romani: "Le risorse arriveranno entro fine anno".
"Abbiamo la legge 69 che stanzia 800 milioni - dice Romani -, manca una delibera del Cipe che ci auguravamo potesse arriavre la settimana scorsa. Probabilmente accadrà al prossimo Cipe, probabilmente tutto questo accadrà entro l'anno".
L'incertezza dunque rimane e del resto lo stesso ministro alle infrastrutture, Claudio Scajola, parlando con i giornalisti a San Paolo, in Brasile, si è espresso ancora in termini di auspicio sul fatto che il piano per la banda larga "possa finalmente partire in tempi brevi, perché l'Italia è il fanalino di coda in Europa e nel mondo" e si deve "mettere nelle condizioni di competere". "Si aprirebbero 33 mila cantieri - ha ripetuto Scajola - , tutti piccoli ma che, per permettere il passaggio della banda larga, potrebbero creare tra i 50 e i 60 mila posti di lavoro".
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Nell'appello, firmato da aziende operanti nel campo della tecnologia, della comunicazione e dell'editoria insieme a molte associazioni di consumatori, si legge: "La banda larga non è un'opzione facoltativa ma un'infrastruttura necessaria per lo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese". Il documento arriva all'attenzione del governo dopo il 'congelamento' imposto da Gianni Letta ai fondi destinati a colmare il "digital divide" italiano, lo scarto che c'è tra le infrastrutture tecnologiche presenti nel nostro Paese e quelle che sarebbero invece necessarie in un contesto moderno. La somma era di 1,4 miliardi di euro, di cui 800 milioni da reperire nei fondi europei del Fas. Ma Letta ha stabilito altre priorità, dettate dalla presente situazione economica. In questo momento, dice il governo, quei soldi possono essere utilizzati per gli ammortizzatori sociali.
Eppure l'Italia rischia davvero di rimanere indietro. La preoccupazione è trasversale e va dai semplici cittadini fino alle grandi aziende della comunicazione.
"Il governo - si legge nell'appello - ha sempre ribadito l'importanza del superamento del digital divide, tramite investimenti in nuove tecnologie e sviluppo della banda larga, come volano per il rilancio della competitività per le pmi italiane, l'avvicinamento della pubblica amministrazione ai cittadini e la creazione di posti e opportunità di lavoro". La richiesta finale è una rapida approvazione da parte del Cipe delle risorse per lo sviluppo della banda larga.
Assieme alle aziende ed ai consumatori, a manifestare dissenso nei confronti del blocco agli stanziamenti ci sono anche Confindustria e sindacati. La prima richiede al più presto un programma di innovazione industriale italiano per lo sviluppo di piattaforme digitali a sostegno di tutti i settori produttivi nazionali. Fabrizio Solari, segretario confederale della Cgil, attacca: "Ancora una volta si dimostra come il governo non abbia idee chiare su come far uscire il nostro Paese dalla crisi. La banda larga serve alle imprese per svilupparsi, alle famiglie per rapportarsi alla Pubblica amministrazione, e ai giovani per studiare e utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione"
Affermazioni e richieste difficili da derubricare, in un momento in cui Internet e i servizi di comunicazione e informazione disponibili per via telematica conoscono un buon momento a dispetto della crisi economica. E che oltre all'occupazione di chi materialmente realizzerà le reti, produrrebbero in tempi rapidi nuovi servizi e opportunità occupazionali a più livelli. Insomma la rete non è il futuro, è il presente. E le imprese italiane cercano di far capire al governo che sarebbe meglio non diventasse un'opportunità del passato.
Dal fronte del governo, è arrivata una dichiarazione possibilista del sottosegretario alle comunicazioni, Paolo Romani: "Le risorse arriveranno entro fine anno".
"Abbiamo la legge 69 che stanzia 800 milioni - dice Romani -, manca una delibera del Cipe che ci auguravamo potesse arriavre la settimana scorsa. Probabilmente accadrà al prossimo Cipe, probabilmente tutto questo accadrà entro l'anno".
L'incertezza dunque rimane e del resto lo stesso ministro alle infrastrutture, Claudio Scajola, parlando con i giornalisti a San Paolo, in Brasile, si è espresso ancora in termini di auspicio sul fatto che il piano per la banda larga "possa finalmente partire in tempi brevi, perché l'Italia è il fanalino di coda in Europa e nel mondo" e si deve "mettere nelle condizioni di competere". "Si aprirebbero 33 mila cantieri - ha ripetuto Scajola - , tutti piccoli ma che, per permettere il passaggio della banda larga, potrebbero creare tra i 50 e i 60 mila posti di lavoro".
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