ROMA — «Signora, dica a mia sorella Ilaria di tenermi il cane. Se lo ricordi, mi raccomando...». È lunedì 21 ottobre, la via crucis di Stefano Cucchi sta per compiersi. Il ragazzo, gracilissimo, scheletrico, con vistose ecchimosi sul volto e una vertebra lombare fratturata, esprime il suo ultimo desiderio a una volontaria che presta servizio tra i detenuti ricoverati all’ospedale Pertini.
Morirà il mattino dopo, alle 6.20. Ora, però, bisognerà capire di che è morto. È stato pestato? È stato forse massacrato da qualcuno, nel suo viaggio assurdo tra una caserma dei carabinieri e una cella di Regina Coeli? Perché da quando fu fermato dai carabinieri per spaccio e detenzione nel parco dell’Appio Claudio, la triste storia del geometra romano Stefano Cucchi, appena trentunenne, diventa un groviglio di rapporti investigativi apparentemente rassicuranti, referti medici allarmantissimi e lettere di Sos mai arrivate.
IL FERMO E LA DROGA - Dunque, vediamo. Tutto comincia all’una di notte tra il 15 e il 16 ottobre. I carabinieri dell’Appio Claudio fermano Cucchi: ha con sé 20 grammi di droga. Lo portano a casa sua a Torpignattara per la perquisizione, dove svegliano mamma Rita e papà Giovanni. Il ragazzo si siede sul divano, è tranquillo e almeno a quell’ora non presenta ancora segni di violenza. Lo affermano senza ombra di dubbio i genitori. Alle 2 i carabinieri, senza usare le manette, lo portano alla caserma di via del Calice, ma lì non c’è posto per la notte, così mezz’ora dopo viene trasferito in un’altra caserma: via degli Armenti, Tor Sapienza.
Lo mettono in una cella, lui avvisa che è epilettico, poco prima delle 5 il piantone sente Stefano che si lamenta, «tremo, ho mal di testa», allora chiama il 118, arriva l’ambulanza e il medico lo visita. Nella memoria presentata in procura dai carabinieri si annotano «una visita accurata» e «un referto che parla di epilessia e tremori senza però riscontrare ecchimosi o lesioni. L’uomo ha rifiutato ogni cura e anche il ricovero. Dopo la visita Cucchi ha detto 'voglio continuare a dormire'. E così ha fatto finché è stato portato in tribunale».
IL SALUTO CON IL PADRE - Quando lo svegliano sono le 8.40 del 16 ottobre. L’udienza di convalida in piazzale Clodio è fissata per le 12. Stefano arriva e c’è il padre ad aspettarlo. I due si salutano, parlano su una panca per qualche minuto, il padre trova il figlio «molto gonfio in faccia», con «gli occhi neri». Ma il figlio non gli dice di aver subìto un pestaggio. Non dice niente. Però chiede comprensione: «Sono epilettico, tossicodipendente e sieropositivo». Il giudice si accorge di quegli strani segni sul volto, così dispone che il medico del tribunale lo visiti. Il referto parla di «lesioni ecchidomiche bilaterali in regione palpebrale inferiore» e «lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori ». Il magistrato convalida il fermo, il ragazzo non ci sta, dà un calcio a una sedia, è scosso, contrariato, lui vorrebbe andare ai domiciliari oppure tornarsene in comunità dove in passato aveva provato a disintossicarsi. Niente. Viene portato in carcere, a Regina Coeli. Racconta Giovanni Passaro, segretario provinciale del Sappe (sindacato di polizia penitenziaria): «Il detenuto a quel punto viene visitato dal medico di turno, il dottor Rolando, che però date le sue condizioni ordina di portarlo subito in ospedale, al Fatebenefratelli...», dove gli fanno le lastre e uno dei medici che lo visita, F.F., dice al Corriere: «Aveva una frattura a una vertebra lombare, lui mi ha detto che era caduto, era scivolato, non so dove, ma camminava normalmente, anche le analisi del sangue non erano disastrose. Così gli ho consigliato il ricovero in ospedale con 25 giorni di prognosi, ma lui l’ha rifiutato, mi ha detto che voleva tornare a Regina Coeli dove conosceva un medico che gli avrebbe dato più giorni... Così ha firmato e se n’è andato». Erano le nove e mezza di sera del 16 ottobre. Cucchi torna a Regina Coeli e ci dorme. Il mattino dopo lo visita un altro medico di Regina Coeli, il dottor Petillo, così ricorda il dirigente del Sappe. Anche il referto di Regina Coeli è impressionante: «Ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto, algia della deambulazione». È successo qualcosa in cella, durante la notte? Cucchi torna al Fatebenefratelli, ma lo stesso medico che l’aveva visitato la sera prima, verso le 14 giura che «le sue condizioni erano invariate rispetto alla sera prima... ».
IL TRASFERIMENTO - Il pomeriggio del 17 ottobre, infine, viene disposto il trasferimento nel reparto di medicina penitenziaria del Pertini, diretto dal dottor Aldo Fierro. «Il ragazzo — ricorda il dottore — oltre alla frattura della vertebra lombare presentava una contusione del volto periorbitale, cioè intorno agli occhi, ma insomma parlava tranquillamente con i nostri medici e non ha mai accennato a un pestaggio subito. Però ha continuato fino alla fine a rifiutare acqua e cibo, accettava solo le medicine per curarsi l’epilessia». Dopo 4 giorni passati digiunando, sul letto d’ospedale, senza mai vedere i suoi genitori, bloccati alla porta dai secondini, Stefano Cucchi sta ormai morendo. È sempre più debole. Così alle ore 18 del 21 ottobre il dottor Fierro prende la decisione e prepara una lettera da inviare al magistrato Maria Inzitari, la stessa che la mattina del 16 in piazzale Clodio aveva giudicato il ragazzo. La lettera del dottore suona, a posteriori, come un Sos: «...Per il persistere di tale atteggiamento di rifiuto rispetto ad approfondimenti diagnostici e agli aggiustamenti terapeutici, visto l’ulteriore aumento dei segnali di disidratazione, il pomeriggio del 21 ottobre abbiamo avvisato il magistrato con una relazione allegata alla cartella clinica nella quale facciamo presente il nostro disagio a gestire le condizioni cliniche del detenuto...». Ma la lettera non partirà mai. Stefano Cucchi, il mattino dopo, è già morto.
Fonte: Corriere.it
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Morirà il mattino dopo, alle 6.20. Ora, però, bisognerà capire di che è morto. È stato pestato? È stato forse massacrato da qualcuno, nel suo viaggio assurdo tra una caserma dei carabinieri e una cella di Regina Coeli? Perché da quando fu fermato dai carabinieri per spaccio e detenzione nel parco dell’Appio Claudio, la triste storia del geometra romano Stefano Cucchi, appena trentunenne, diventa un groviglio di rapporti investigativi apparentemente rassicuranti, referti medici allarmantissimi e lettere di Sos mai arrivate.
IL FERMO E LA DROGA - Dunque, vediamo. Tutto comincia all’una di notte tra il 15 e il 16 ottobre. I carabinieri dell’Appio Claudio fermano Cucchi: ha con sé 20 grammi di droga. Lo portano a casa sua a Torpignattara per la perquisizione, dove svegliano mamma Rita e papà Giovanni. Il ragazzo si siede sul divano, è tranquillo e almeno a quell’ora non presenta ancora segni di violenza. Lo affermano senza ombra di dubbio i genitori. Alle 2 i carabinieri, senza usare le manette, lo portano alla caserma di via del Calice, ma lì non c’è posto per la notte, così mezz’ora dopo viene trasferito in un’altra caserma: via degli Armenti, Tor Sapienza.
Lo mettono in una cella, lui avvisa che è epilettico, poco prima delle 5 il piantone sente Stefano che si lamenta, «tremo, ho mal di testa», allora chiama il 118, arriva l’ambulanza e il medico lo visita. Nella memoria presentata in procura dai carabinieri si annotano «una visita accurata» e «un referto che parla di epilessia e tremori senza però riscontrare ecchimosi o lesioni. L’uomo ha rifiutato ogni cura e anche il ricovero. Dopo la visita Cucchi ha detto 'voglio continuare a dormire'. E così ha fatto finché è stato portato in tribunale».
IL SALUTO CON IL PADRE - Quando lo svegliano sono le 8.40 del 16 ottobre. L’udienza di convalida in piazzale Clodio è fissata per le 12. Stefano arriva e c’è il padre ad aspettarlo. I due si salutano, parlano su una panca per qualche minuto, il padre trova il figlio «molto gonfio in faccia», con «gli occhi neri». Ma il figlio non gli dice di aver subìto un pestaggio. Non dice niente. Però chiede comprensione: «Sono epilettico, tossicodipendente e sieropositivo». Il giudice si accorge di quegli strani segni sul volto, così dispone che il medico del tribunale lo visiti. Il referto parla di «lesioni ecchidomiche bilaterali in regione palpebrale inferiore» e «lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori ». Il magistrato convalida il fermo, il ragazzo non ci sta, dà un calcio a una sedia, è scosso, contrariato, lui vorrebbe andare ai domiciliari oppure tornarsene in comunità dove in passato aveva provato a disintossicarsi. Niente. Viene portato in carcere, a Regina Coeli. Racconta Giovanni Passaro, segretario provinciale del Sappe (sindacato di polizia penitenziaria): «Il detenuto a quel punto viene visitato dal medico di turno, il dottor Rolando, che però date le sue condizioni ordina di portarlo subito in ospedale, al Fatebenefratelli...», dove gli fanno le lastre e uno dei medici che lo visita, F.F., dice al Corriere: «Aveva una frattura a una vertebra lombare, lui mi ha detto che era caduto, era scivolato, non so dove, ma camminava normalmente, anche le analisi del sangue non erano disastrose. Così gli ho consigliato il ricovero in ospedale con 25 giorni di prognosi, ma lui l’ha rifiutato, mi ha detto che voleva tornare a Regina Coeli dove conosceva un medico che gli avrebbe dato più giorni... Così ha firmato e se n’è andato». Erano le nove e mezza di sera del 16 ottobre. Cucchi torna a Regina Coeli e ci dorme. Il mattino dopo lo visita un altro medico di Regina Coeli, il dottor Petillo, così ricorda il dirigente del Sappe. Anche il referto di Regina Coeli è impressionante: «Ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto, algia della deambulazione». È successo qualcosa in cella, durante la notte? Cucchi torna al Fatebenefratelli, ma lo stesso medico che l’aveva visitato la sera prima, verso le 14 giura che «le sue condizioni erano invariate rispetto alla sera prima... ».
IL TRASFERIMENTO - Il pomeriggio del 17 ottobre, infine, viene disposto il trasferimento nel reparto di medicina penitenziaria del Pertini, diretto dal dottor Aldo Fierro. «Il ragazzo — ricorda il dottore — oltre alla frattura della vertebra lombare presentava una contusione del volto periorbitale, cioè intorno agli occhi, ma insomma parlava tranquillamente con i nostri medici e non ha mai accennato a un pestaggio subito. Però ha continuato fino alla fine a rifiutare acqua e cibo, accettava solo le medicine per curarsi l’epilessia». Dopo 4 giorni passati digiunando, sul letto d’ospedale, senza mai vedere i suoi genitori, bloccati alla porta dai secondini, Stefano Cucchi sta ormai morendo. È sempre più debole. Così alle ore 18 del 21 ottobre il dottor Fierro prende la decisione e prepara una lettera da inviare al magistrato Maria Inzitari, la stessa che la mattina del 16 in piazzale Clodio aveva giudicato il ragazzo. La lettera del dottore suona, a posteriori, come un Sos: «...Per il persistere di tale atteggiamento di rifiuto rispetto ad approfondimenti diagnostici e agli aggiustamenti terapeutici, visto l’ulteriore aumento dei segnali di disidratazione, il pomeriggio del 21 ottobre abbiamo avvisato il magistrato con una relazione allegata alla cartella clinica nella quale facciamo presente il nostro disagio a gestire le condizioni cliniche del detenuto...». Ma la lettera non partirà mai. Stefano Cucchi, il mattino dopo, è già morto.
Fonte: Corriere.it
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