I due favoriti alla segreteria del Pd, Bersani e Franceschini, si stanno rivelando maestri di slalom. Qualunque questione divida i rispettivi schieramenti, anziché affrontarla, la dribblano. Zitti e mosca sulla sentena del Tar a proposito dell’ora di religione.
Zitti e mosca sull’inverecondo attacco di Nichi Vendola al pm che indaga su alcuni uomini della sua vecchia giunta: anzi, massima copertura all’inquisito numero uno, l’ex assessore Alberto Tedesco, sospettato di corruzione e dunque promosso senatore del Pd al posto del neo-europarlamentare Paolo De Castro.
E proprio sull’immunità parlamentare, ormai degenerata in spudorata impunità, piacerebbe sentire una parola chiara dagli aspiranti leader dell’opposizione. Una parola che valga per tutti. E non solo per gli inquisiti-impuniti di centrodestra. Il Pd s’è stracciato le vesti il mese scorso, quando la maggioranza ha salvato dai loro processi Roberto Castelli (denunciato da Oliviero Diliberto per averlo accusato di far “sprangare la gente”) e Altero Matteoli (imputato per favoreggiamento di un prefetto in una sporca faccenda di abusi edilizi all’isola d’Elba), dichiarando “ministeriali” e dunque insindacabili i loro reati.
Ma negli stessi giorni il Pd s’è associato al Pdl e all’Udc per salvare alcuni politici trasversalmente coinvolti nello scandalo delle scalate bancarie del 2005 (Bpl-Antonveneta e Unipol-Bnl): da tre anni i giudici di Milano chiedono al Parlamento di autorizzare l’uso delle telefonate intercettate sulle utenze degli scalatori che parlavano con deputati e senatori di destra e di sinistra. Per tre anni il Parlamento ha fatto melina, mentre quello europeo negava l’autorizzazione all’uso delle telefonate fra Consorte e D’Alema (favorevoli al colpo di spugna il Pd, l’Udc e il Pdl). Il 22 giugno scorso il Senato ha fatto altrettanto con quelle di Luigi Grillo (Pdl) e Nicola Latorre (Pd): il primo già imputato in base ad altri elementi di prova nel processo Antonveneta; il secondo sospettato di concorso nell’aggiotaggio di Consorte, ma imputabile solo in base alle sue conversazioni con l’ex patron di Unipol.
In pratica, il No del Senato ai giudici comporta che Latorre non potrà mai esser indagato per un grave reato finanziario solo perchè è senatore, e come tale “più uguale degli altri” dinanzi alla legge. Come i maiali della “Fattoria degli animali”. Giornata radiosa quella del 22 giugno a Palazzo Madama: il Pd vota con Pdl e Udc per salvare Grillo, il Pdl e l’Udc votano col Pd per salvare Latorre. Una mano lava l’altra (solo l’Idv vota contro per l’uno e per l’altro). Ora, che il dalemiano Bersani non apra bocca sulla sconcezza che salva il dalemiano Latorre, è comprensibile. Ma che taccia pure Franceschini è davvero curioso. Anche perché, con l’aria che tira, per vincere le primarie basterebbe un programma di quattro parole: «Aboliamo l’immunità parlamentare».
Zitti e mosca sull’inverecondo attacco di Nichi Vendola al pm che indaga su alcuni uomini della sua vecchia giunta: anzi, massima copertura all’inquisito numero uno, l’ex assessore Alberto Tedesco, sospettato di corruzione e dunque promosso senatore del Pd al posto del neo-europarlamentare Paolo De Castro.
E proprio sull’immunità parlamentare, ormai degenerata in spudorata impunità, piacerebbe sentire una parola chiara dagli aspiranti leader dell’opposizione. Una parola che valga per tutti. E non solo per gli inquisiti-impuniti di centrodestra. Il Pd s’è stracciato le vesti il mese scorso, quando la maggioranza ha salvato dai loro processi Roberto Castelli (denunciato da Oliviero Diliberto per averlo accusato di far “sprangare la gente”) e Altero Matteoli (imputato per favoreggiamento di un prefetto in una sporca faccenda di abusi edilizi all’isola d’Elba), dichiarando “ministeriali” e dunque insindacabili i loro reati.
Ma negli stessi giorni il Pd s’è associato al Pdl e all’Udc per salvare alcuni politici trasversalmente coinvolti nello scandalo delle scalate bancarie del 2005 (Bpl-Antonveneta e Unipol-Bnl): da tre anni i giudici di Milano chiedono al Parlamento di autorizzare l’uso delle telefonate intercettate sulle utenze degli scalatori che parlavano con deputati e senatori di destra e di sinistra. Per tre anni il Parlamento ha fatto melina, mentre quello europeo negava l’autorizzazione all’uso delle telefonate fra Consorte e D’Alema (favorevoli al colpo di spugna il Pd, l’Udc e il Pdl). Il 22 giugno scorso il Senato ha fatto altrettanto con quelle di Luigi Grillo (Pdl) e Nicola Latorre (Pd): il primo già imputato in base ad altri elementi di prova nel processo Antonveneta; il secondo sospettato di concorso nell’aggiotaggio di Consorte, ma imputabile solo in base alle sue conversazioni con l’ex patron di Unipol.
In pratica, il No del Senato ai giudici comporta che Latorre non potrà mai esser indagato per un grave reato finanziario solo perchè è senatore, e come tale “più uguale degli altri” dinanzi alla legge. Come i maiali della “Fattoria degli animali”. Giornata radiosa quella del 22 giugno a Palazzo Madama: il Pd vota con Pdl e Udc per salvare Grillo, il Pdl e l’Udc votano col Pd per salvare Latorre. Una mano lava l’altra (solo l’Idv vota contro per l’uno e per l’altro). Ora, che il dalemiano Bersani non apra bocca sulla sconcezza che salva il dalemiano Latorre, è comprensibile. Ma che taccia pure Franceschini è davvero curioso. Anche perché, con l’aria che tira, per vincere le primarie basterebbe un programma di quattro parole: «Aboliamo l’immunità parlamentare».
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