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Il no della Banca centrale europea "Quella norma viola il Trattato Ue"

Così parlava ieri il premier:
Berlusconi
: "Tassa aurea rispetta l'autonomia di Bankitalia". Il decreto non contiene, invece, nessun intervento sulla tassa sull'oro. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha precisato tramite una nota ufficiale: "La norma è chiara e non può prestarsi ad equivoco. Secondo quanto espressamente previsto dall'articolo 14 del decreto legge non potrà avere applicazione senza il parere 'non ostativo', cioè favorevole, della Bce e senza il consenso espresso della Banca d'Italia. E' evidente perciò che, nella lettera e nello spirito, la norma è pienamente rispettosa dell'indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca d'Italia e del tutto coerente con i principi del Trattato e del sistema europeo delle Banche centrali". Nei giorni scorsi Bankitalia aveva espresso timori per una perdita di indipendenza attraverso la sforbiciata delle risorse auree, mentre la Bce si è opposta all'ipotesi di un finanziamento della politica economica dei governi finanziata dalle banche centrali.

"L'oro alla Patria", grida Giulio Tremonti nel malcelato tentativo di allungare le mani sulle riserve auree della Banca d'Italia. "Giù le mani da quell'oro", rispondono all'unisono le autorità monetarie da Via Nazionale e dall'Eurotower di Francoforte. Il conflitto tra il governo italiano e l'Eurosistema delle banche centrali, invece di sciogliersi nel buon senso politico, continua a covare sotto le ceneri dell'irresponsabilità istituzionale.

Berlusconi ha deciso di andare avanti comunque, nonostante i paletti del Quirinale e i veti della Bce. Nel pasticciaccio brutto del decreto anticrisi, l'articolo 14 che introduce l'imposta sulle plusvalenze sull'oro non industriale di società ed enti è un capolavoro di ambiguità e ipocrisia. Il comma 4 prevede che la tassa una tantum sulle disponibilità in oro della Banca d'Italia, per un gettito fissato in 300 milioni di euro, possa essere applicato solo "previo parere non ostativo della Banca centrale europea" e comunque attraverso un decreto non regolamentare del ministero dell'Economia, "su conforme parere della Banca d'Italia". Il premier, con tanto di comunicato ufficiale accluso al decreto, spiega che la norma non si presta così a fraintendimenti: garantisce in ogni caso l'indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca centrale.

Messo in questi termini, il caso sembrerebbe risolto. In realtà le cose non stanno così. Banca d'Italia e Bce assistono silenti ma attonite alle mosse del governo. Che senso ha introdurre una Golden Tax inattiva, vincolandone l'applicazione a "un parere non ostativo" che la Bce ha già negato, e a un "conforme parere" che la Banca d'Italia non emetterà mai? Questa, oggi, è la replica che si raccoglie presso le autorità monetarie. La Banca centrale europea ha già formulato ben due pareri, sul tema della tassazione delle plusvalenze sulle riserve auree, che non lasciano margini di dubbio. Il 24 luglio l'Eurotower ha scritto chiaro e tondo che quella forma di imposizione, tanto più se concepita come una tantum, viola l'indipendenza finanziaria e istituzionale della Banca d'Italia. Non solo: nella misura in cui prefigura un gettito con effetto retroattivo, su una plusvalenza non realizzata, da Banca d'Italia a Tesoro, configura una forma di finanziamento monetario al settore pubblico che è palesemente incompatibile con il Trattato di Maastricht. Dunque, è la linea dell'Eurosistema delle banche centrali, non ha senso scrivere una legge in cui si subordina il via libera a questa forma di imposizione fiscale a un "parere non ostativo della Bce", perché a invalidare alla radice una misura del genere non è un verdetto specifico di un'istituzione europea, ma una "grundnorm" del diritto costituzionale comunitario.

Per questo, adesso, tra Eurotower e Palazzo Koch si registra un preoccupato stupore per la scelta fatta da Berlusconi e Tremonti. Bce e Banca d'Italia non hanno nulla da aggiungere a quanto già non sia stato scritto negli atti ufficiali diffusi fino ad oggi. Non ci sono altri pareri da esprimere, perché quelli già espressi dicono tutto. La Golden Tax è illegittima, punto e basta. Se poi il governo italiano, per ragioni di strategia interna o di tattica comunitaria, deciderà di andare avanti lo stesso con la tassazione, se ne assumerà fino in fondo la responsabilità, e si metterà in moto la fisiologica dialettica istituzionale di "check and balance". Sul piano interno, il presidente della Repubblica Napolitano valuterà nelle prossime ore se il nuovo decreto anticrisi, così formulato e corredato dal comunicato di Palazzo Chigi, risponde ai requisiti di legittimità richiesti dalla Costituzione italiana. Sul piano comunitario, pare evidente e scontato che la Bce non esiterà a far ricorso alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, ai sensi dell'articolo 230 del Trattato europeo.

La domanda che rimbalza tra Roma e Francoforte è la seguente: a chi giova, questa sfida agli equilibri istituzionali, in un momento di crisi economico-finanziaria ancora così acuta? E perché accentuare le tensioni, quando sul piatto della bilancia ci sono solo 300 milioni di gettito? Tremonti, con la consueta logica del bastone e carota, alterna minacce populiste e aperture riformiste. Da un lato dice "quell'oro è del popolo, non di Via Nazionale" (e qui, per inciso, si potrebbe chiosare: se è del popolo, e lo vuoi colpire con una nuova imposta, stai facendo pagare più tasse agli italiani, contraddicendo uno dei dogmi della tua ideologia politico-economica).

Dall'altro aggiunge "se ci saranno spazi per attivare la norma sull'oro senza forzature, c'è la possibilità di raccogliere fondi contro la crisi anche da lì". Dunque, ancora una volta, qual è il vero volto del ministro dell'Economia? Quello che intima o quello che dialoga? E un modestissimo "tesoretto" da 300 milioni di euro vale uno scontro istituzionale di portata globale? A Palazzo Koch e all'Eurotower si fa fatica a capire. C'è una possibile spiegazione nazionale. E' probabile che Tremonti abbia voluto tenere ancora carica la pistola della Golden Tax sulla tempia del governatore per non abbassare la guardia nel duello sotterraneo e strisciante, che lo induce a vedere in Mario Draghi un potenziale competitore politico, più che un naturale interlocutore economico. Ma c'è anche una possibile spiegazione sovra-nazionale. E' probabile che Tremonti voglia ritagliarsi il ruolo di capofila di un fronte inter-governativo europeo che, in nome del popolo che vota, punti a sottrarre legittimità (e quindi sovranità) alle tecnocrazie di Bruxelles e di Francoforte.

In questo scenario il governo italiano, con la sua norma sull'oro, inattiva ma attivabile, cercherebbe prima o poi di aprire una falla, nella quale si potrebbero inserire anche le altre cancellerie. Con l'obiettivo di rimettere in discussione il primato delle banche centrali, e in prospettiva gli equilibri stessi del Trattato Ue. Con il Cavaliere potrebbe essere schierato su questa linea Sarkozy, forse Zapatero e qualche altro primo ministro dell'Europa centro-orientale. Non la Merkel, visto che in Germania un analogo tentativo di rimettere in gioco le riserve auree è stato respinto senza appello dalla Bundesbank. Ma in ogni caso, se questa fosse la scommessa di Roma, sarebbe comunque ad altissimo rischio. Come già accadde nella legislatura 2001-2006, gli italiani tornerebbero a riproporsi alla comunità internazionale con la consueta, squalificante immagine di sempre: i soliti furbi. E in ogni caso, si dovrebbe passare comunque per uno strappo istituzionale con la Bce, e per un contenzioso costituzionale con la Corte di Giustizia.

Quello che ci si chiede, e non solo lungo l'asse Roma-Francoforte, è molto semplice. Se l'Italia va avanti sulla Golden Tax, rischia una procedura d'infrazione alla Ue e una condanna a Lussemburgo. Un presidente del Consiglio come Berlusconi, già così screditato dalle sue avventure personali, può far pagare al suo Paese anche il "supplemento" di un danno politico così devastante?

Fonte: Repubblica.it

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