Processi come questi non ne vedremo più: la legge sulle intercettazioni ed il bavaglio all’informazione, che la nuova legge comporta, ha probabilmente messo la parola fine alla possibilità di risalire a qualsiasi reato, se non per circostanze fortuite. I media non ne parlavano già prima, ora avranno persino un buon motivo per continuare a non farlo. [Antonio di Pietro]
da pagina 1761 secondo capoverso]
Gli elementi probatori emersi dall’indagine dibattimentale espletata
hanno consentito di fare luce:
sulla posizione assunta da Marcello Dell’Utri nei confronti di esponenti
di “cosa nostra”, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate,
Teresi, oltre a Mangano e Cinà),
sul ruolo ricoperto dallo stesso
nell’attività di costante mediazione, con il coordinamento di Cinà Gaetano,
tra quel sodalizio criminoso, il più pericoloso e sanguinario nel panorama
delle organizzazioni criminali operanti al mondo, e gli ambienti
imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo
FININVEST;
sulla funzione di “garanzia” svolta nei confronti di Silvio Berlusconi, il
quale temeva che i suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona,
adoperandosi per l’assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di
Arcore dello stesso Berlusconi, quale “responsabile” (o “fattore” o
“soprastante” che dir si voglia) e non come mero “stalliere”, pur
conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano sin dai tempi
di Palermo (ed, anzi, proprio per tale sua “qualità”), ottenendo l’avallo
compiaciuto di Stefano Bontate e Teresi Girolamo, all’epoca due degli
“uomini d’onore” più importanti di “cosa nostra” a Palermo;
sugli ulteriori rapporti dell’imputato con “cosa nostra”, favoriti, in alcuni
casi, dalla fattiva opera di intermediazione di Cinà Gaetano, protrattisi per
circa un trentennio nel corso del quale Marcello Dell’Utri ha continuato
l’amichevole relazione sia con il Cinà che con il Mangano, nel frattempo
assurto alla guida dell’importante mandamento palermitano di Porta
Nuova, palesando allo stesso una disponibilità non meramente fittizia,
incontrandolo ripetutamente nel corso del tempo, consentendo, anche
grazie a Cinà, che “cosa nostra” percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo
dall’azienda milanese facente capo a Silvio Berlusconi, intervenendo nei
momenti di crisi tra l’organizzazione mafiosa ed il gruppo FININVEST
(come nella vicenda relativa agli attentati ai magazzini della Standa di
Catania e dintorni), chiedendo al Mangano ed ottenendo favori dallo stesso
(come nella “vicenda Garraffa”) e promettendo appoggio in campo politico
e giudiziario.
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