
L'euforia di Piazza Affari conferma nella fredda logica dei numeri l'eterna altalena azionaria legata al conflitto d'interessi. Mediaset, in particolare, ha pagato un prezzo altissimo all'anno di interregno di Mario Monti, segnato tra l'altro dal crollo del mercato pubblicitario. Il titolo di Cologno quotava nell'autunno del 2011 oltre 2,5 euro. Poi, con lo spread alle stelle e l'arrivo del governo dei tecnici, ha iniziato un'inesorabile parabola discendente condita da una valanga di "sell" delle banche d'affari. Il punto più basso è arrivato lo scorso novembre, quando il mercato ha intuito che Mediaset avrebbe chiuso per la prima volta i conti in rosso (così è stato, con una perdita 2012 di 287 milioni) e le azioni sono scese al minimo storico dalla quotazione del 1995 a 1,1 euro. Da quei giorni è iniziata la lenta ripresa, direttamente proporzionale al recupero del Pdl nei sondaggi in vista delle elezioni. Una resurrezione che ha dato un ulteriore colpo di reni quando, aperte le urne, si è scoperto che nessuno aveva vinto e il Cavaliere rimaneva ancora una volta al centro dello scacchiere politico tricolore. Oggi il titolo Mediaset quota più di 2,1 euro.
A beneficiare del clima positivo è stata pure Mediolanum, ormai da qualche mese la partecipazione di maggior valore nel portafoglio di Silvio Berlusconi (il suo 35% nell'azienda di Doris vale 1,38 miliardi contro il miliardo del 40% delle tv). Il titolo della banca viaggia oggi a 5,3 euro, il suo massimo dal 2008
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