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Boston, finito l'incubo. Preso il secondo attentatore.Città 'liberata' fa festa


BOSTON - Alla fine, alla fine di tutto, quando sono passate meno di 24 ore dall’inizio della caccia all’uomo, e meno di cinque giorni dall’attentato, quando il secondo sospettato della strage alla maratona, il 19enne ceceno Dzhokar viene catturato, Boston fa festa. Scendono in strada gli abitanti di Watertown che dopo un giorno di assedio sfogano la loro rabbia gioiosa abbracciando i poliziotti, battendo le mani sui mezzi blindati che lasciano la loro piccola città, bagnando di birra le bandiere americane. Escono dalle case tutti gli altri, come un tappo di champagne saltato a Capodanno: si riaccendono le luci, il rumore torna come per magia e si impasta con la musica dei locali e qualcuno giù al porto vecchio lancia anche un paio di fuochi d’artificio. Tanto adesso nessuno ha più paura dei botti. Sono rumori come sorrisi.

Il giorno più lungo inizia giovedì pomeriggio, quando l’Fbi diffonde le immagini dei due principali sospettati. Due fratelli ceceni Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev, sono loro i due che hanno messo le bombe lungo la linea del traguardo di lunedì. Una foto segnaletica ritrae Dzhokar alle spalle di Richard Martin, il bimbo di otto anni, diventato la vittima simbolo della strage. Sono loro due a terrorizzare la città la notte tra giovedì e venerdì. Prima rapinano un negozio, poi uccidono una guardia privata al Mit, poi rubano un’auto con cui vanno a sbattere contro un posto di blocco della polizia, che a questo punto ha capito che i due non sono banditi qualsiasi ma sono "quelli delle foto, quelli delle bombe". Il conflitto a fuoco avviene nella cittadina di Waterfront a pochi chilometri da Boston, oltre il fiume Charles. Qui viene ucciso Tamerlan, il fratello più grande di Dzhokar, colpito a morte dai poliziotti. Il più piccolo dei due fratelli però, nonostante sia ferito scompare. Svanisce nel nulla.  Le squadre speciali chiudono subito la zona. Oltre venti isolati sono messi sotto assedio, le case passate al setaccio, metro per metro. All’alba le strade sono deserte, una città fantasma.

E a Boston accade la stessa cosa. Si ferma tutto: i trasporti pubblici, gli uffici pubblici e i negozi privati, i bar e i ristoranti, le scuole e le università,  lo sport con le partite dei Red Sox del baseball e dei Bruins dell’hockey, persino i taxi e i camion dell’immondizia. "Rimanete in casa", ripetono gli appelli delle autorità. C’è un silenzio carico di paura, interrotto solo dalle sirene e dal rumore degli elicotteri. Polizia, posti di blocco e controlli ovunque ma la caccia all’uomo sembra non dare risultati. Sino alla svolta finale.

Sono circa le otto della sera quando a Watertown si sentono colpi d’arma da fuoco, poi si vedono decine di poliziotti che corrono verso Franklin Street. Ancora spari, tanti spari: i video mostreranno una violenta sparatoria. Rifugiato dentro una barca in disuso c’è  Dzhokar, che non si è mai mosso da questi pochi metri quadrati. Perde sangue da una precedente ferita e il proprietario della barca se ne accorge (così come pure un elicottero con rilevatori di calore). E’ circondato, arriva un robot degli artificieri, poi un negoziatore: "Sappiamo che sei li", gli urla. Poi fumogeni e bombe carta per distrarlo prima del blitz decisivo. E’ catturato vivo, ferito grave, ma vivo.  Se ne va tra gli applausi della cittadina che aveva preso in ostaggio.

Poco dopo a Washington Obama ringrazia l’Fbi e la polizia di Boston, poi dice: "Abbiamo vinto perché non ci siamo fatti terrorizzare. E' stato chiuso un capitolo di questa tragedia, ma mancano ancora tante risposte per una violenza cosi. Perché due fratelli che sono cresciuti qui possono essersi rivoltati contro il nostro Paese? E ancora, hanno agito da soli? Lo scopriremo". Tanto che a complicare lo scenario, il Boston Globe, dà la notizia di tre arresti effettuati dalla polizia di New Bedford: due uomini e una donna. Ma per le indagini ci sarà tempo, per ora quel che conta, come dice la polizia di Boston è che "il terrore è finito". La città della maratona può tornare a correre.

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