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Stipendi fermi a novembre divario record con l'inflazione

MILANO - La crisi riduce il potere d'acquisto degli italiani. E' la fotografia scattata a novembre dall'Istat che rivela un divario record tra la crescita dei prezzi su base annua e quella delle retribuzioni: i primi aumentano del 3,3%, gli ultimi dell'1,5%. Come a dire che l'aumento degli stipendi non basta più a fronteggiare la corsa dell'inflazione. E ancora di più nell'ultima parte dell'anno perché a novembre le retribuzioni contrattuali orarie sono rimaste ferme. Oltre tutto, la crescita tendenziale dell'1,5% è la più bassa dall'ottobre del 2010, quando si registrò lo stesso dato che risulta il minimo da marzo 1999.

E così, a novembre su base annua, la forbice tra l'aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,5%) e il livello d'inflazione (+3,3%) ha toccato una differenza pari a 1,8 punti percentuali: è il divario più alto dal 1997. Nel dettaglio però, nei primi 11 mesi dell'anno, sono cresciuti dell'1,9% gli stipendi per i dipendenti del settore privato, mentre per gli addetti della pubblica amministrazione la variazione è stata nulla.

Tra i settori che a novembre presentano gli incrementi maggiori rispetto allo stesso mese dell'anno precedente - sottolinea l'Istat - sono: gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e attività dei vigili del fuoco (per entrambi +3,1%). Tutti i comparti della pubblica amministrazione, a eccezione dei vigili del fuoco, registrano, invece, variazioni nulle.

A novembre, inoltre,
risultano ancora in attesa di rinnovo 30 accordi contrattuali, di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione, relativi a 4,1 milioni di dipendenti (circa 3 milioni nel pubblico impiego): si tratta del 31,4% dei dipendenti, mentre è quasi raddoppiata la media dei mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto.Dai 13,4 dello scorso anno ai 23,9 mesi attuali.

A dicembre crolla anche l'indice del clima di fiducia dei consumatori, che scende da 96,1 a 91,6. Lo rileva l'Istat, aggiungendo che è livello più basso dal 1996, ovvero da quando sono disponibili le serie destagionalizzate. La fiducia dei consumatori, così, segna una brusca retromarcia, un vero e proprio crollo, dopo il positivo risultato di novembre. A dicembre tocca un minimo storico che riporta indietro di ben quindici anni.

Il peggioramento è diffuso a tutte le componenti ed è particolarmente marcato per il clima economico generale con il relativo indice che passa da 83,1 a 77,2. L'indicatore relativo alla situazione personale degli intervistati scende da 101,6 a 97,3. Anche le previsioni a breve termine registrano un marcato calo, diminuendo da 88,9 a 82,9. In flessione l'indice sulla situazione corrente, che passa da 102,2 a 98,4.

Calano, inoltre, i saldi relativi alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -72 a -85) e sulla convenienza all'acquisto di beni durevoli (da -87 a -99). E ancora, si deteriorano le aspettative di disoccupazione (il saldo passa da 80 a 86) e quelle generali sull'economia italiana (da -46 a -55).

Aumenta da 57 a 65 il saldo dei giudizi negativi sull'evoluzione recente dei prezzi al consumo e cresce da 12 a 58 quello sull'evoluzione nei prossimi dodici mesi. A livello territoriale, il peggioramento della fiducia è diffuso in tutte le ripartizioni ed è particolarmente marcato nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno.


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Fonte: Repubblica.it

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