Dopo le dimissioni del Cavaliere, il Pdl si spacca. Nascono le faide interne. Nel mirino delle polemiche soprattutto Denis Verdini, uno dei coordinatori. Ma c'è chi ora rimpiange lo strappo con Fini. Tra questi lo stesso La Russa
In nero. Come delle vedove. Le donne del Pdl, dalla Rizzoli alla Rossi, dalla Savino alla Biancofiore, sfilano per il Transatlantico e ostentano il loro lutto con un insolito total black. Pantaloni, camicie, gonne, giacche. In aula, il partito dell’amore riserva un’ovazione di pancia al premier, ma fuori, sui divanetti e nel cortile di Montecitorio, si celebra un lucido processo di testa a B. In tanti, donne e uomini azzurri, avrebbero voluto “l’ultimo colpo di coda del Caimano”. Testuale. Non un Capo rassegnato e terreo in volto. Il paradosso è che sono rimasti berlusconiani senza Berlusconi. E gli rinfacciano, spietati e nostalgici allo stesso tempo, una lunga serie di errori. Pure i leghisti si lagnano: “Bossi si sente tradito da Berlusconi”. Ignazio La Russa, a capo di una pattuglia mista di ex An ed ex forzisti anti-Monti, fa un’ammissione nel chiuso della barberia: “Al momento della rottura siamo stati troppo duri con Fini”.
“Fregati da Pomicino, non dai pm” L’elenco dei rimpianti che conduce al governo Monti via mercati finanziari inizia dal dicembre dello scorso anno: lo strappo di Fli e i Responsabili di Domenico Scilipoti in maggioranza. Voci sparse dai capannelli del Pdl: “Dopo la rottura con Fini bisognava andare subito al voto”. Poi: “Sei mesi fa dovevamo cedere all’Udc di Casini e mettere Alfano a Palazzo Chigi”. Punto d’arrivo: “Alla fine il presidente non è stato fatto fuori dai magistrati, ma da Cirino Pomicino che ha fatto la campagna acquisti per Casini”. E sono arrivati “i poteri forti, le banche, il capitalismo finanziario”. Cioè, Mario Monti. L’ultimo atto di B. è un ritorno alle ideologie del Novecento. I postmissini sono i più agguerriti. La ministra Meloni, lo stesso La Russa parlano di “vittoria del capitale e dei padroni”. Marcello de Angelis, direttore del “Secolo d’Italia” con un passato nero da extraparlamentare, fa un paragone tremendo: “Veltroni ha ricordato i tempi dell’unità nazionale contro le Brigate Rosse. Stavolta invece serve contro il terrorismo finanziario. Con una differenza però: nominare Monti è come se all’epoca avessero messo Mario Moretti o Renato Curcio a capo del governo per combattere le Br”. Continua De Angelis: “È da luglio che Napolitano preparava tutto”.
La linea anticapitalista va da Scilipoti ai comunisti di “Liberazione”. Tutto il potere a Bilderberg, la famigerata lobby dei potenti di tutto il mondo. Anche Daniela Santanchè si adegua: “Da domani vigilerò sui rapporti tra Goldman Sachs e la Pubblica amministrazione”. Un altro ministro deluso, Gianfranco Rotondi, da sofista democristiano, fornisce una versione diversa: “Stanotte ho sognato Francesco Cossiga che mi ha detto che sta rinascendo il centrosinistra con il trattino. Noi facciamo il centro. Il Pdl è morto”. La sostanza però non cambia, rispetto ai ragionamenti degli An contro “i padroni”: “Questo è un golpe, non c’è dubbio”.
La rissa per i sottosegretari. Alle tre del pomeriggio, le varie bande del Pdl entrano in fibrillazione per il pranzo tra B. e Monti. Si va immediatamente al sodo: “I sottosegretari sono politici o tecnici?”. Si fanno le divisioni, calcolando la formula breve di Monti: dodici ministri e venticinque posti di sottogoverno. Primo tentativo: “Dieci sottosegretari al Pdl, otto al Pd, cinque all’Udc, due a Fli”. I finiani fanno pure i nomi: “Se i politici entrano davvero, noi abbiamo Benedetto Della Vedova e Mario Baldassarri”. Nel Pdl il dibattito è più largo: Frattini, Bernini, Fitto e altri ministri uscenti si battono per un esecutivo politico che li incolli alla poltrona fino al 2013. Il sabato del potere perso. Mario Pepe, cervello politico degli ex Responsabili, è crudele con il sottosegretario all’Istruzione Pino Galati, nominato meno di un mese fa: “Galati non ha fatto in tempo a sedersi sull’auto blu”.
Sulla strategia da seguire, le correnti di pensiero nel Pdl sono tre: i frattiniani per il 2013, gli ex An per il governo tecnico a tempo e infine i peones per il voto immediato. Dopo il fallito tentativo di lanciare Lamberto Dini, La Russa, Matteoli, Meloni più Sacconi e Brunetta sono i crociati del Monti tecnico a tempo con l’esclusivo programma economico della lettera alla Bce (niente riforme istituzionali quindi, né legge elettorale). In serata, all’ufficio di presidenza del Pdl a Palazzo Grazioli, è questa la linea che passa, simmetrica a quella del Pd di Bersani. “Così stacchiamo la spina quando vogliamo”, è il refrain bipartisan che si sente a Montecitorio e che consente ai due poli di non mettere troppe impronte digitali su questo nuovo esecutivo. E il fatto che Gianni Letta rimanga fuori fa gongolare di gioia molti berlusconiani invidiosi che non hanno mai sopportato il Ciambellano già andreottiano di Palazzo Chigi. In questo storico sabato 12 novembre 2011 sono tante le vendette amare che si consumano. Un autorevole forzista della primissima ora ammette: “Berlusconi ha fatto la fine che si merita. In questi anni ha dato troppo spazio a deputati di prima nomina dimenticandosi dei vecchi amici”.
Verdini nel mirino. L’accusato numero uno si chiama Denis Verdini, il banchiere peone diventato triumviro onnipotente del Pdl e regista di tutte le trattative nell’ultimo anno. Il Responsabile centrista Francesco Pionati, mancato sottosegretario in più di un’occasione, fa un tipo di ragionamento simile: “Berlusconi si è infilato in un vicolo cieco a causa dei cattivi consiglieri. Gli ho sempre detto di liberarsi della zavorra per dare un colpo d’ala. Ma non è successo ed eccoci qua. Il berlusconismo però non è morto”. L’ultima immagine dei berlusconiani nell’ultimo giorno di B. è quella dei ministri che vanno alla residenza privata del premier per l’ufficio di presidenza del Pdl. Chi va a piedi, chi in macchina. Per tutti lo stesso trattamento: “Buffoni, andate a lavorare”. Lo gridano anche al falco Giorgio Stracquadanio, che per l’ennesima volta litiga con giornalisti e passanti. I sostenitori del Pdl in piazza sono pochissimi. Non è una foto da guerra civile. Sono giovani e capitanati dalla napoletana Francesca Pascale. Un deputato centrista del Pd, Stefano Graziano, annota: “Il film è finito, vedrete, da lunedì si ribalterà tutto e inizierà una storia tutta nuova”. Con tanti berlusconiani che si sentono orfani di B.
di Fabrizio D’Esposito
da Il Fatto Quotidiano del 13 novembre 2011
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In nero. Come delle vedove. Le donne del Pdl, dalla Rizzoli alla Rossi, dalla Savino alla Biancofiore, sfilano per il Transatlantico e ostentano il loro lutto con un insolito total black. Pantaloni, camicie, gonne, giacche. In aula, il partito dell’amore riserva un’ovazione di pancia al premier, ma fuori, sui divanetti e nel cortile di Montecitorio, si celebra un lucido processo di testa a B. In tanti, donne e uomini azzurri, avrebbero voluto “l’ultimo colpo di coda del Caimano”. Testuale. Non un Capo rassegnato e terreo in volto. Il paradosso è che sono rimasti berlusconiani senza Berlusconi. E gli rinfacciano, spietati e nostalgici allo stesso tempo, una lunga serie di errori. Pure i leghisti si lagnano: “Bossi si sente tradito da Berlusconi”. Ignazio La Russa, a capo di una pattuglia mista di ex An ed ex forzisti anti-Monti, fa un’ammissione nel chiuso della barberia: “Al momento della rottura siamo stati troppo duri con Fini”.
“Fregati da Pomicino, non dai pm” L’elenco dei rimpianti che conduce al governo Monti via mercati finanziari inizia dal dicembre dello scorso anno: lo strappo di Fli e i Responsabili di Domenico Scilipoti in maggioranza. Voci sparse dai capannelli del Pdl: “Dopo la rottura con Fini bisognava andare subito al voto”. Poi: “Sei mesi fa dovevamo cedere all’Udc di Casini e mettere Alfano a Palazzo Chigi”. Punto d’arrivo: “Alla fine il presidente non è stato fatto fuori dai magistrati, ma da Cirino Pomicino che ha fatto la campagna acquisti per Casini”. E sono arrivati “i poteri forti, le banche, il capitalismo finanziario”. Cioè, Mario Monti. L’ultimo atto di B. è un ritorno alle ideologie del Novecento. I postmissini sono i più agguerriti. La ministra Meloni, lo stesso La Russa parlano di “vittoria del capitale e dei padroni”. Marcello de Angelis, direttore del “Secolo d’Italia” con un passato nero da extraparlamentare, fa un paragone tremendo: “Veltroni ha ricordato i tempi dell’unità nazionale contro le Brigate Rosse. Stavolta invece serve contro il terrorismo finanziario. Con una differenza però: nominare Monti è come se all’epoca avessero messo Mario Moretti o Renato Curcio a capo del governo per combattere le Br”. Continua De Angelis: “È da luglio che Napolitano preparava tutto”.
La linea anticapitalista va da Scilipoti ai comunisti di “Liberazione”. Tutto il potere a Bilderberg, la famigerata lobby dei potenti di tutto il mondo. Anche Daniela Santanchè si adegua: “Da domani vigilerò sui rapporti tra Goldman Sachs e la Pubblica amministrazione”. Un altro ministro deluso, Gianfranco Rotondi, da sofista democristiano, fornisce una versione diversa: “Stanotte ho sognato Francesco Cossiga che mi ha detto che sta rinascendo il centrosinistra con il trattino. Noi facciamo il centro. Il Pdl è morto”. La sostanza però non cambia, rispetto ai ragionamenti degli An contro “i padroni”: “Questo è un golpe, non c’è dubbio”.
La rissa per i sottosegretari. Alle tre del pomeriggio, le varie bande del Pdl entrano in fibrillazione per il pranzo tra B. e Monti. Si va immediatamente al sodo: “I sottosegretari sono politici o tecnici?”. Si fanno le divisioni, calcolando la formula breve di Monti: dodici ministri e venticinque posti di sottogoverno. Primo tentativo: “Dieci sottosegretari al Pdl, otto al Pd, cinque all’Udc, due a Fli”. I finiani fanno pure i nomi: “Se i politici entrano davvero, noi abbiamo Benedetto Della Vedova e Mario Baldassarri”. Nel Pdl il dibattito è più largo: Frattini, Bernini, Fitto e altri ministri uscenti si battono per un esecutivo politico che li incolli alla poltrona fino al 2013. Il sabato del potere perso. Mario Pepe, cervello politico degli ex Responsabili, è crudele con il sottosegretario all’Istruzione Pino Galati, nominato meno di un mese fa: “Galati non ha fatto in tempo a sedersi sull’auto blu”.
Sulla strategia da seguire, le correnti di pensiero nel Pdl sono tre: i frattiniani per il 2013, gli ex An per il governo tecnico a tempo e infine i peones per il voto immediato. Dopo il fallito tentativo di lanciare Lamberto Dini, La Russa, Matteoli, Meloni più Sacconi e Brunetta sono i crociati del Monti tecnico a tempo con l’esclusivo programma economico della lettera alla Bce (niente riforme istituzionali quindi, né legge elettorale). In serata, all’ufficio di presidenza del Pdl a Palazzo Grazioli, è questa la linea che passa, simmetrica a quella del Pd di Bersani. “Così stacchiamo la spina quando vogliamo”, è il refrain bipartisan che si sente a Montecitorio e che consente ai due poli di non mettere troppe impronte digitali su questo nuovo esecutivo. E il fatto che Gianni Letta rimanga fuori fa gongolare di gioia molti berlusconiani invidiosi che non hanno mai sopportato il Ciambellano già andreottiano di Palazzo Chigi. In questo storico sabato 12 novembre 2011 sono tante le vendette amare che si consumano. Un autorevole forzista della primissima ora ammette: “Berlusconi ha fatto la fine che si merita. In questi anni ha dato troppo spazio a deputati di prima nomina dimenticandosi dei vecchi amici”.
Verdini nel mirino. L’accusato numero uno si chiama Denis Verdini, il banchiere peone diventato triumviro onnipotente del Pdl e regista di tutte le trattative nell’ultimo anno. Il Responsabile centrista Francesco Pionati, mancato sottosegretario in più di un’occasione, fa un tipo di ragionamento simile: “Berlusconi si è infilato in un vicolo cieco a causa dei cattivi consiglieri. Gli ho sempre detto di liberarsi della zavorra per dare un colpo d’ala. Ma non è successo ed eccoci qua. Il berlusconismo però non è morto”. L’ultima immagine dei berlusconiani nell’ultimo giorno di B. è quella dei ministri che vanno alla residenza privata del premier per l’ufficio di presidenza del Pdl. Chi va a piedi, chi in macchina. Per tutti lo stesso trattamento: “Buffoni, andate a lavorare”. Lo gridano anche al falco Giorgio Stracquadanio, che per l’ennesima volta litiga con giornalisti e passanti. I sostenitori del Pdl in piazza sono pochissimi. Non è una foto da guerra civile. Sono giovani e capitanati dalla napoletana Francesca Pascale. Un deputato centrista del Pd, Stefano Graziano, annota: “Il film è finito, vedrete, da lunedì si ribalterà tutto e inizierà una storia tutta nuova”. Con tanti berlusconiani che si sentono orfani di B.
di Fabrizio D’Esposito
da Il Fatto Quotidiano del 13 novembre 2011
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