Mentre a Roma parlano, i francesi comprano. E siccome in Borsa, fino a prova contraria, vince chi ha i soldi, va a finire, come è successo ieri, che un’azienda italiana come la Parmalat passa sotto il controllo di un grande gruppo d’Oltralpe. Staccando un assegno di quasi 750 milioni, nella notte tra lunedì e martedì il gruppo Lactalis ha acquistato il 15,3 per cento dell’azienda di Collecchio ceduto dai tre fondi internazionali Skagen, Zenit e MacKenzie. I venditori, giusto pochi giorni fa, si erano spesi in pubbliche dichiarazioni per garantire che loro facevano il tifo per l’Italia e che mai avrebbero abbandonato le loro azioni in balia dello scalatore straniero. Balle. Il fatto è che i fondi puntano a fare profitti e pare che da parte italiana, che poi vuol dire Banca Intesa, non si fosse materializzata nessuna offerta concreta.
Lactalis invece ha messo sul piatto 2,8 euro per azione, che rappresenta il 15 per cento in più rispetto alla quotazione borsistica di Parmalat di lunedì. Ed è anche un’offerta del 40 per cento più alta rispetto ai prezzi correnti solo un paio di mesi fa. Come dire che i venditori, che hanno messo assieme gran parte del loro pacchetto nelle ultime settimane, potrebbero aver realizzato un profitto del 30 per cento nell’arco di 100 giorni. Mica male. I francesi invece sommando il 15,3 appena comprato con il 14 e rotti per cento che già controllavano sono arrivati al 29,5 per cento circa. Cioè si trovano molto vicini alla cosiddetta soglia d’Opa. Vuol dire che d’ora in poi chi vuole comprarsi Parmalat deve fare un’offerta in Borsa sul 100 per cento del capitale dell’azienda che fu di Calisto Tanzi.
A conti fatti, quindi, una fantomatica cordata italiana dovrebbe essere pronta a investire almeno 4 miliardi di euro. A meno di non voler credere alle promesse della politica che ancora ieri è tornata a rilanciare l’idea di una norma anti-stranieri che blocchi l’assalto francese. Peccato che fin qui, a parte un paio di vaghe uscite del ministro Giulio Tremonti, non si è ancora ben capito come il governo intenda proteggere l’economia nazionale dai compratori che battono bandiera straniera. E soprattutto come intenda farlo senza finire sotto una prevedibile procedura d’infrazione promossa procedura dall’Unione europea.
Per strappare Parmalat ai francesi servirebbero soldi e candidati all’acquisto e al momento scarseggiano entrambi. Da tempo si vagheggia di un possibile intervento di Granarolo, l’azienda casearia controllata dalla Lega delle cooperative. ma ieri è stato lo stesso numero uno della società, Gianpiero Calzolari, a precisare che loro non hanno denaro da investire nell’operazione. Al massimo avrebbero potuto conferire attività in un nuovo polo del latte tricolore. Del resto il bilancio 2010 di Granarolo, con soli 3,6 milioni di utile netto su 884 milioni, non lascia molti margini di manovra. Ben altro peso avrebbe l’intervento di un peso massimo come Ferrero. “Restiamo interessati se matureranno le condizioni che lo rendono possibile”, è il criptico commento giunto ieri dal gruppo della Nutella. Della fantomatica cordata cordata però finora non c’è traccia, anche se, almeno a parole, sono in molti a lavorare sul tema, comprese banche come Intesa e Unicredit. In Borsa nel frattempo la partita sembra già finita. Ieri il titolo Parmalat ha perso il 7 per cento. Chiaro segnale che gli investitori ritengono improbabile una controfferta. I più penalizzati sono i piccoli azionisti che, a differenza dei fondi internazionali, vedono passare di mano il controllo dell’azienda senza poter cedere i loro titoli allo stesso prezzo offerto dai francesi. Game over, allora? Ferrero e Intesa attendono una mossa del governo. In caso contrario Lactalis potrà aggiungere i 4,3 miliardi del giro d’affari Parmalat ai circa 10 miliardi che già realizza nel mondo. Di più: nella casse del gruppo di Collecchio c’è la bellezza di 1,4 miliardi di liquidità.
In Italia l’azienda transalpina controlla già marchi di formaggi come Galbani, Invernizzi, Locatelli per un fatturato che ammonta a circa 1,2 miliardi. Questa produzione andrebbe a integrarsi con latte, yoghurt e succhi di frutta della Parmalat per ricavi nel nostro Paese di circa 960 milioni. Dietro questi numeri ci sono migliaia di allevatori italiani. Sono soprattutto loro a spingere per un intervento del governo, nel timore che i francesi vadano a comprare il latte altrove. Lactalis nega. Vedremo se Tremonti deciderà di fidarsi o scenderà in campo per difendere allevatori e mucche italiane.
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Fonte: Il FQ
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Lactalis invece ha messo sul piatto 2,8 euro per azione, che rappresenta il 15 per cento in più rispetto alla quotazione borsistica di Parmalat di lunedì. Ed è anche un’offerta del 40 per cento più alta rispetto ai prezzi correnti solo un paio di mesi fa. Come dire che i venditori, che hanno messo assieme gran parte del loro pacchetto nelle ultime settimane, potrebbero aver realizzato un profitto del 30 per cento nell’arco di 100 giorni. Mica male. I francesi invece sommando il 15,3 appena comprato con il 14 e rotti per cento che già controllavano sono arrivati al 29,5 per cento circa. Cioè si trovano molto vicini alla cosiddetta soglia d’Opa. Vuol dire che d’ora in poi chi vuole comprarsi Parmalat deve fare un’offerta in Borsa sul 100 per cento del capitale dell’azienda che fu di Calisto Tanzi.
A conti fatti, quindi, una fantomatica cordata italiana dovrebbe essere pronta a investire almeno 4 miliardi di euro. A meno di non voler credere alle promesse della politica che ancora ieri è tornata a rilanciare l’idea di una norma anti-stranieri che blocchi l’assalto francese. Peccato che fin qui, a parte un paio di vaghe uscite del ministro Giulio Tremonti, non si è ancora ben capito come il governo intenda proteggere l’economia nazionale dai compratori che battono bandiera straniera. E soprattutto come intenda farlo senza finire sotto una prevedibile procedura d’infrazione promossa procedura dall’Unione europea.
Per strappare Parmalat ai francesi servirebbero soldi e candidati all’acquisto e al momento scarseggiano entrambi. Da tempo si vagheggia di un possibile intervento di Granarolo, l’azienda casearia controllata dalla Lega delle cooperative. ma ieri è stato lo stesso numero uno della società, Gianpiero Calzolari, a precisare che loro non hanno denaro da investire nell’operazione. Al massimo avrebbero potuto conferire attività in un nuovo polo del latte tricolore. Del resto il bilancio 2010 di Granarolo, con soli 3,6 milioni di utile netto su 884 milioni, non lascia molti margini di manovra. Ben altro peso avrebbe l’intervento di un peso massimo come Ferrero. “Restiamo interessati se matureranno le condizioni che lo rendono possibile”, è il criptico commento giunto ieri dal gruppo della Nutella. Della fantomatica cordata cordata però finora non c’è traccia, anche se, almeno a parole, sono in molti a lavorare sul tema, comprese banche come Intesa e Unicredit. In Borsa nel frattempo la partita sembra già finita. Ieri il titolo Parmalat ha perso il 7 per cento. Chiaro segnale che gli investitori ritengono improbabile una controfferta. I più penalizzati sono i piccoli azionisti che, a differenza dei fondi internazionali, vedono passare di mano il controllo dell’azienda senza poter cedere i loro titoli allo stesso prezzo offerto dai francesi. Game over, allora? Ferrero e Intesa attendono una mossa del governo. In caso contrario Lactalis potrà aggiungere i 4,3 miliardi del giro d’affari Parmalat ai circa 10 miliardi che già realizza nel mondo. Di più: nella casse del gruppo di Collecchio c’è la bellezza di 1,4 miliardi di liquidità.
In Italia l’azienda transalpina controlla già marchi di formaggi come Galbani, Invernizzi, Locatelli per un fatturato che ammonta a circa 1,2 miliardi. Questa produzione andrebbe a integrarsi con latte, yoghurt e succhi di frutta della Parmalat per ricavi nel nostro Paese di circa 960 milioni. Dietro questi numeri ci sono migliaia di allevatori italiani. Sono soprattutto loro a spingere per un intervento del governo, nel timore che i francesi vadano a comprare il latte altrove. Lactalis nega. Vedremo se Tremonti deciderà di fidarsi o scenderà in campo per difendere allevatori e mucche italiane.
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Fonte: Il FQ
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