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Processi lumaca: costano 81 mln. di risarcimenti Il Pg: "Giustizia fallimentare e Stato insolvente"

ROMA – ”E’ oramai sotto gli occhi di tutti come la situazione quasi fallimentare della giustizia e dei suoi tempi si stia trasformando in una situazione che si può definire quasi di insolvenza per lo Stato”. Lo sottolinea il Procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, nella sua relazione alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario che sarà letta nell’Aula Magna dopo la relazione del primo presidente della Suprema Corte Ernesto Lupo.

”Non siamo più nemmeno in grado di pagare gli indennizzi dovuti per la violazione dei canoni di un giusto e celere processo”, prosegue Vitaliano con riferimento alla insolvenza dello Stato italiano perfino per quanto riguarda il pagamento degli indennizzi previsti dalla legge Pinto.

Nel 2008 è stato pari a circa 81 milioni di euro la somma che lo Stato italiano è stato condannato a pagare in indennizzi per l’eccessiva durata di processi. Di questa enorme cifra, ha detto Esposito, ben 36 milioni e mezzo di euro ”non risultano pagati malgrado l’esecutività del titolo”. ”Lo Stato – ha sottolineato poi il pg – preferisce pagare invece che risolvere la problematica dell’esorbitante durata dei processi ma, per di più, non è neppure in grado di adempiere a tali obblighi di pagamento. Cosa poco consona per un Paese che fa parte della elitaria cerchia del G20”.

I magistrati italiani, ha esortato Esposito, hanno il dovere del ‘riserbo’ al quale ”non sempre si attengono, senza rendersi probabilmente conto che una notizia o un giudizio da loro riferita o espresso, data la funzione svolta, assumono una rilevanza del tutto diversa da quelli provenienti dalla generalità dei cittadini”. Il Pg ha richiamoto i togati ad un maggior ”equilibrio e prudenza”.

Nel 2010 sono stati sottoposti a procedimento disciplinare il 19,48 per cento dei magistrati in servizio, il 75 per cento degli incolpati esercita le funzioni giudicanti e oltre il 40 per cento esercita le funzioni nel sud del Paese. Per cinque magistrati sono state richieste, e accolte, le misure cautelari. Per 89 magistrati (pari al 47 per cento) è stata chiesta l’emissione del decreto di citazione a giudizio. Per 90 (pari al 47 per cento dei casi) è stato richiesto non farsi luogo a dibattimento e per i rimanenti 11 togati sottoposti a procedimento disciplinare sono ”intervenute altre cause di definizione”.

Nel corso del 2010 sono arrivate 1.382 notizie di possibile rilevanza disciplinare, con una flessione del 2,19 per cento rispetto al 2009. 573 esposti provengono da privati. Le procedure definite sono state 1.387, erano 1.725 nel 2009. La contrazione è pari al 20 per cento circa.

L’allarme del presidente Lupo. ”Questa apertura dell’anno giudiziario cade in una fase particolarmente delicata e critica della vita del nostro Paese, in cui sembrano prevalere contrapposizioni, frammentazioni e interessi settoriali, mentre è necessario fortificare il senso della dimensione comune e della coesione collettiva, come presupposto per uscire dalle difficoltà che l’Italia vive”: ad affermarlo, nella sua relazione per l’apertura dell’anno giudiziario in Cassazione, il primo presidente della Suprema Corte, Ernesto Lupo.

”I magistrati continueranno ad adempiere alle loro funzioni con serenità e con impegno”, ha assicuratolo Lupo. I magistrati proseguiranno ad essere ”fedeli al modello di giudice capace, per la sua indipendenza, di assolvere un cittadino in mancanza di prove della sua colpevolezza, anche quando il sovrano o la pubblica opinione ne chiedono la condanna, e di condannarlo in presenza di prove anche quando i medesimi poteri ne vorrebbero l’assoluzione”. La definizione del giudice così delineata si deve – spiega Lupo – al filosofo del diritto Luigi Ferrajoli.

”La volontà di non indugiare in ripetitive lamentazioni o sterili denunce; l’intento di superare l’esasperazione polemica delle tensioni o la radicalizzazione di unilaterali concezioni, insieme all’impegno di responsabilità per la ricerca di soluzioni possibili e condivise, nel rigoroso rispetto dei principi, dei limiti e dei vincoli posti dalla Costituzione repubblicana”, sono le ‘linee guida’ seguite nella relazione del primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, per l’apertura dell’anno giudiziario 2011.

La Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura ”hanno costituito e costituiscono componenti fondamentali per la connotazione della Repubblica come Stato costituzionale di diritto” e non hanno nessuna responsabilità nella ”inefficienza del sistema giustizia” che ”non dipende dall’assetto ordinamentale e dall’equilibrio dei poteri delineato dalla Costituzione”. Una sottolineatura, quella dell’importante ruolo svolto da Consulta e Csm, che arriva a pochi giorni di distanza dal deposito delle motivazioni della Consulta sul legittimo impedimento. Lupo difende a spada tratta l’attuale assetto della Costituzione e rivela che gli altri Paesi del mondo ritengono ”un punto di riferimento” il ”modello ordinamentale della giustizia italiana”.

”E’ preoccupante la situazione di scopertura dell’organico della magistratura”, frutto di ritardi con cui a partire dal 2002 sono stati banditi i concorsi per l’ingresso di nuovi magistrati. ”Gli effetti di tali ritardi non sono stati ancora superati dall’impegno del ministro Angelino Alfano, che ha messo a concorso 713 posti, che si aggiungono ai 253 magistrati assunti nel 2010”, rileva Lupo. Nel 2010 i pensionamenti sono stati 414, di cui 227 anticipati e percio’ ”presumibilmente favoriti dall’entrata in vigore delle misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria”. Preoccupa molto anche ”il decennale blocco di assunzioni del personale amministrativo e tecnico”, l’organico, in 10 anni ”è passato da 46 mila a poco più di 39 mila presenze”.

”Occorre dare priorità assoluta al tema dei tempi della Giustizia”, lo sottolinea il primo presidente della Cassazione. Lupo ricorda l’ultima ‘bacchettata ricevuta dall’Italia, lo scorso 2 dicembre dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che nell’ultima risoluzione ha ribadito che ”i tempi eccessivi nell’amministrazione della giustizia italiana costituiscono un grave pericolo per il rispetto dello stato di diritto, conducendo alla negazione dei diritti consacrati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. L’allarme per la ‘giustizia lumaca’ ricorre da tanti anni nelle relazioni sullo stato della Giustizia con dati sempre più allarmanti.

Occorre mantenere l‘obbligatorietà dell’azione penale perché il suo venir meno ”altererebbe l’assetto complessivo” dei principi basilari del sistema costituzionale, ha sottolineato Lupo. ”L’indipendenza garantita da questo modello ordinamentale ai magistrati, ha permesso al sistema di giustizia di affermare il primato della legalità nell’esercizio del potere politico, amministrativo ed economico, a prescindere dalle variabili e contingenti maggioranze politiche”. E’ necessario proseguire nella ”politica di depenalizzazione, che non ha più visto interventi organici dal 1999”. ”Non esiste sistema processuale che possa far fronte in tempi ragionevoli all’abnorme numero di fatti che sono considerati reati nel nostro ordinamento”, sottolinea Lupo.

L’espansione della ‘ndrangheta è una ”emergenza nazionale” e per affrontarla serve un ”potenziamento straordinario del settore investigativo e giudiziario, ai quali non possono essere lesinate le necessarie risorse economiche”. Lupo segnala la ”pressione estorsiva” esercitata a danno delle imprese ”impegnate nella costruzione di tratti autostradali calabresi e aggiunge che la penetrazione della ‘ndrangheta ha assunto ormai dimensioni interregionali e internazionali, acquisendo le peggiori connotazioni delle altre più antiche organizzazioni criminali, anche con tendenza al superamento della dimensione di microcosmi a struttura familiare e localistiche verso la caratterizzazione di cellule interdipendenti e collegate al vertice da strutture sovraordinate”

A presenziare alla cerimonia il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, accompagnato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e dal vicepresidente del Csm, Michele Vietti. Tra le autorità presenti in sala anche i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il giudice costituzionale Alfio Finocchiaro in rappresentanza della Consulta e, tra gli altri, il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli e la presidente della Regione Lazio Renata Polverini. Assente il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che l’anno scorso aveva invece partecipato alla cerimonia.

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Fonte: Blitzquotidiano.it

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