ROMA - Norme contraddittorie. I dubbi sul testo della riforma Gelmini arrivano anche al Quirinale. Perplessità tecniche e non sul merito del provvedimento. Perché dopo il pasticcio combinato martedì scorso dal vicepresidente del Senato Rosi Mauro, nel testo sono spuntate alcune incoerenze che hanno colpito il Colle. Al punto che il capo dello Stato avrebbe manifestato il suo imbarazzo a firmare la legge in contatti con il presidente del Senato, Renato Schifani e con Gianni Letta, il sottosegretario-ombra di Berlusconi.
I dubbi riguardano in primo luogo la decisione di sopprimere in un articolo (il 29) quello che in un altro (nell'articolo 6) viene riformato. Non una disputa accademica. Ma una cosa che riguarda migliaia di lavoratori dell'università, ricercatori a tempo indeterminato e assistenti a ruolo in esaurimento. Il richiamo del Quirinale era nell'aria. Il capo dello Stato ha voluto vederci chiaro dopo lo showdown di martedì, la pasdaran leghista Rosi Mauro che - proprio dall'emendamento del Pd che denunciava l'errore - ha cominciato a perdere la testa, e la bagarre che è seguita con quindici votazioni annullate e fatte rifare da Schifani. Evidente che il capo dello Stato non entra nel merito politico della riforma Gelmini. Ma in quello formale sì.
Lo sbrego procedurale è forte e Napolitano (che ieri incontra gli studenti) vuole chiarimenti. Vuole soprattutto ce si trovi una soluzione che consenta di firmare la legge. Se ne rende conto anche il governo. Lo sa bene Mariastella
Gelmini che in consiglio dei ministri propone di ovviare all'errore con una modifica da inserire nel decreto "Milleproroghe". Una via non praticabile immediatamente, dal momento che una legge deve essere stata approvata prima di procedere a un lifting. Pdl-Lega e il governo studiano ogni possibilità per tirarsi fuori dal pantano.
Ci sarebbe in realtà una strada maestra: semplicemente un emendamento che corregga l'errore, ripristini la coerenza normativa, rimandando il ddl alla Camera. Una "navetta" indispensabile. Lo chiedono con insistenza Democratici e dipietristi. Nella lunga conferenza mattutina dei capigruppo si affronta la questione. "È questa la strada corretta e lineare", insiste Anna Finocchiaro. Ma c'è un "no" insormontabile: Berlusconi non vuole finire nella trincea di Montecitorio. Lì, in balia dei finiani, ogni Caporetto è possibile, e ogni occasione di una Caporetto va accuratamente evitata. Il Cavaliere non si fida di Fini.
Crescono le quotazioni di un'altra soluzione. Un decreto che corregga il "pasticciaccio" dell'università. Idea percorribile ma che non toglie dall'imbarazzo il presidente della Repubblica che si troverebbe comunque a promulgare un testo con tanto di sbaglio. Contatti. Colloqui. Uno spiraglio compare, però tramonta subito. È quello di una nota della Camera che ammetta "l'errore materiale", di avere cioè sbagliato nella trascrizione del numero di un comma da cui discende il pasticcio. Il mea culpa di Montecitorio dovrebbe dire: "Scusateci, il testo è stato stravolto dall'errore di trascrizione...". Non se ne fa nulla. Sarebbe una anomalia regolamentare e poi, chi va da Gianfranco Fini con il cappello in mano a chiedere collaborazione politica? Anzi, Giampiero D'Alia, il capogruppo dell'Udc, in conferenza dei capigruppo, apre a un ordine del giorno che richiami l'errore materiale. Emma Bonino la leader radicale e vice presidente del Senato, è anche lei per una soluzione che eviti l'imbarazzo di Napolitano.
Giuseppe Pizza è il sottosegretario all'Istruzione che tiene i contatti con gli uffici del Senato; Schifani con il Quirinale; il Quirinale con Gianni Letta. Infine, l'ipotesi scelta dal governo: nella conversione in legge del "Milleproroghe" inserire il "correggi errore" della riforma dell'università.
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Fonte: Repubblica.it
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